Applicazione dell’Islam alla vita quotidiana

I Musulmani giustamente ritengono che l’lslam non sia sempli-

cemente un ideale astratto concepito soltanto per meri fini

devozionali o un idolo vuoto che debba essere riverito

in ogni momento. L’Islam è una norma di vita, una forza vivente

che si manifesta in ogni aspetto dell’esistenza umana. Inoltre

i Musulmani ritengono che l’individuo sia il centro di gravità

e lo strumento essenziale per I’instaurazione dell’Islam, o di qua-

lunque altro sistema che debba entrare in azione su vasta scala.

E’ per questo che l’Islam comincia sempre con l’individuo e invaria-

bilmente antepone la qualità alla quantità.

Cominciamo laddove comincia l’Islam, ossia dall’individuo.

Esaminiamo la natura dell’individuo e vediamo in che modo 1’Islam

consideri questa natura. Per chiarire le cose nel migliore dei

modi, senza impantanarci in discussioni filosofiche o controversie

astratte, possiamo definire l’uomo come un esseri composto di due

nature intimamente connesse fra loro e continuamente interagenti.

Sono la natura interna e quella esterna. Oppure si potrebbe dire

che 1’uomo ha una natura unica, con due sezioni difficilmente separa-

bili l’una dall’altra. Una è interna e l’altra è esterna. La natu-

ra interna dell’uomo si riporta a ciò che in termini coranici è detto

Ruh (Spirito, Sè, Cuore) e Aql (Intelletto).

Nella nostra descrizione della natura interiore dell’uomo,

avremo a che fare con due aspetti: 1) quello spirituale ed etico,

2) quello intellettuale. Il resto delle attività ed operazioni

dell’essere umano dovrà essere ascritta alla sua natura esteriore.

Dopo tutto, è un fatto universalmente ammesso che l’uomo non vive

di solo pane.

La vita spirituale

L’Islam organizza la vita spirituale dell’uomo in modo tale

da fornirgli tutto quel nutrimento spirituale di cui egli ha bisogno

per la sua religiosità e 1a sua giustizia, per la sua sicurezza e la

sua pace. La prescrizione islamica per la vita spirituale dell’uomo

garantisce, quando sia fedelmente applicata, i risultati piu positivi

per la crescita e la maturazione spirituale dell’uomo. I punti prin-

cipali in questa prescrizione islamica sono:

1. Le orazioni rituali (salah);

2. La zakah, o decima rituale;

3. I1 digiuno (sawm);

4. I1 pellegrinaggio (hajj);

5. L’amore per DIO e per i1 Suo Messaggero, l’amore per la verità

e l’umanità per la causa di DIO;

6. Speranza e fiducia in DIO in ogni momento;

7. Sacrificio per la causa di DIO in grazia di un’abnegazione effettiva.

Vari aspetti di questi punti sono già stati discussi in

alcuni loro particolari, e qui dobbiamo solo aggiungere che

senza questi fondamentali elementi non può esservi un’autentica

Fede, per quanto concerne l’Islam. Consigliamo al lettore di

riferirsi alle precedenti sezioni di quest’opera.

La vita intellettuale

La natura intellettuale dell’uomo, come abbiamo già detto,

consiste nell’intelletto, o intelligenza, o facoltà raziocinan-

te. A questo aspetto 1’Islan rende un’attenzione straordinaria

e costruisce la struttura intellettuale dell’uomo sulle basi

più integre e solide, che possono essere classificate nel modo

seguente:

1. Vera conoscenza basata su prove evidenti e dimostrazioni

indiscutibili, acquisite grazie all’”esperienza” o alla constata-

zione ovvero grazie all’una e all’altra. Sotto questo rapporto

possiamo dire, al di là di ogni dubbio, che il Qur’an è la prima

autorità che prescriva una zelante ricerca della conoscenza attra-

verso l’”esperienza” e la constatazione diretta, attraverso la

meditazione e l’osservazione della realtà. Infatti, è un ordine

divino che coinvolge ogni Musulmano, maschio o femmina, quello

secondo cui la conoscenza va perseguita nel senso più ampio della

parola e la verità va ricercata con ogni mezzo. La natura e l’in-

tero universo sono tesori aperti e continuamente rivelatori

di verità, e il Qur’an è stato il primo libro che abbia indicato

queste ricche fonti di conoscenza. Esso non accetta le “verità”

ereditate o i fatti mancanti di prove e di dimostrazioni che li

sostanzino. Per quanto ne possiamo sapere, il Qur’an è stata la

prima Scrittura a dire “Perchè” e ad esigere prove a sostegno

delle convinzioni e dei punti di vista (Qur’an, 2, 11 e 21, 24).

I1 Qur’an stesso costituisce un’eminente sfida intellettuale;

esso sfida 1’intelletto umano a discutere ogni verità coranica o

a produrre qualcosa di simile al Qur’an. Aprite un qualunque

capitolo del Qur’an e troverete il più ardente appello alla ricerca

della conoscenza attraverso le infinite risorse della natura.

La devozione alla vera conoscenza è considerata dall’Islam devo-

zione a DIO, nel senso più completo.

2. La seconda parte di questo punto è la fede in DIO, una

fonte di conoscenza da cui deriva una rivelazione continua,

una contemplazione spirituale degl’innumerevoli campi del pen-

siero. Nell’Islam la fede in DIO è la pietra d’angolo dell’in-

tera struttura religiosa. Ma per rendere valida la fede in DIO,

1’Islan richiede che essa sia fondata su una certezza saldissima,

su convinzioni incrollabili. Queste, a loro volta, non possono

essere acquisite senza una adeguata applicazione dell’intelletto.

Un intelletto fiacco o indifferente, un intendimento limitato,

non può attingere il vertice della Verità Suprema, DIO, nè può

raggiungere 1’autentica profondità della Fede.

L’Islam non riconosce La fede quando questa consiste in

cieca imitazione, quando è accettata in modo irriflessivo

e automatico. Ciò è della massima importanza laddove si tratta

della vita intellettuale dell’uomo. L’Islam richiede la fede

in DIO e il Qur’an in parecchi punti esorta alla fede in DIO.

Ma il significato di tali esortazioni non va messo in un

cassetto dello studio o in un angolo della mente. I1 signi-

ficato di tali esortazioni è che esse costituiscono un fervido

invito ed un urgente appello all’intelletto affinchè rimanga

desto e funzioni, ponderi le cose e le mediti. E’ vero che il

Qur’an rivela la verità essenziale e la realtà fondamentale per

quel che concerne DIO, ma è ugualmente vero che esso non vuole

che l’uomo si comporti come un erede pigro il quale non compia

alcuno sforzo di propria volontà. Vuole, invece, che l’uomo ar-

ricchisca il proprio patrimonio intellettuale mediante uno

sforzo serio ed onesto, sicchè divenga intellettualmente sicuro.

L’Islam disapprova una fede che vada e venga alla leggera. L’I-

slam vuole che la fede in DIO sia effettiva e permanente, vuole

che essa illumini ogni recesso del cuore dell’uomo e prevalga in

ogni aspetto della sua esistenza. La fede che va e che viene

non può fare ciò, e l’Islam non la accetta.

Quando 1’Islam richiede la fede in DIO sulla base della

conoscenza e della ricerca, esso lascia ampiamente aperti

dinanzi all’intelletto tutti i campi del pensiero, affinchè

l’intelletto li esplori nella massima profondità possibile.

L’Islam non frappone alcuna restrizione al “libero cercatore”

che persegue la conoscenza per ampliare la propria visione e

dilatare i confini della propria mente. Esso lo sollecita

a ricorrere a tutti gli strumenti della conoscenza, siano

puramente razionali o siano sperimentali. Appellandosi in questo

modo all’intelletto, 1’Islam mostra la sua più alta considerazione

nelle possibilità intellettuali dell’uomo e ripone in esse la

propria fiducia, perché intende liberare la mente umana dagli

impacci e dalle limitazioni della sfera sensibile. Vuole elevare

l’individuo e dotarlo di fiducia in se stesso, di autorità

celeste, affinchè il dominio della sua mente si possa estendere

a tutti i campi del pensiero: fisici e metafisici, scientifici e

filosofici, intuitivi e sperimentali, organici e altro. E’ così

che la fede in DIO nutre l’intelletto e rende prospera e produttiva

la vita intellettuale. Quando le attività spirituali e intellet-

tuali dell’uomo sono organizzate secondo gl’insegnamenti dell’I-

slam nel modo suddetto, la natura interiore dell’uomo diventa

integra e sana. E quando l’uomo è interiormente sicuro e sano,

la sua vita esterna sarà della medesima natura.

LA NATURA ESTERIORE

La natura esteriore dell’uomo è complessa, sottile e ampia

quanto la sua natura interiore. Dobbiamo nuovamente rilevare il

fatto che l’integrità della prima dipende in notevole misura dal-

l’integrità della seconda e viceversa, poichè la natura completa

dell’uomo è fatta di ambedue gli aspetti. A scopo di chiarezza,

una volta di più, dobbiamo introdurre divisioni e suddivisioni nella

natura esteriore dell’uomo. Dobbiamo però tenere sempre a mente

che qualsiasi squilibrio nel sistema della natura umana può di-

ventare distruttivo e fatale. I1 fatto è che la natura esterna e

la natura interna dell’uomo agiscono e interagiscono fra loro,

e che 1’Islam ha esteso la propria divina portata a tutti quanti gli

aspetti della vita, interni ed esterni.

La vita personale

L’Islam tratta la vita personale dell’uomo in maniera da as-

sicurargli purezza e pulizia, in maniera da assegnargli una dieta

sana e insegnargli i modi più giusti per vestirsi, comportarsi,

adornarsi, esercitare il fisico e così via.

1. Purezza e pulizia

E’ prescrizione islamica che prima di eseguire l’0razione il

Musulmano compia un’abluzione, a meno che non ne abbia già fatta

una in precedenza e la abbia mantenuta valida. Questa abluzione

obbligatoria è talvolta parziale, talvolta completa, a seconda della

condizione del Musulmano. Ora, se pensiamo che un Musulmano deve

eseguire almeno cinque orazioni abbligatorie al giorno, in purezza

di cuore e di anima, col corpo e gli abiti, puliti,

un’area pura e con intenzione pura, possiamo vedere assai bene

l’effetto vitale e i benefici risultati che questo atto riveste per

l’uomo (cfr, Qur’an, 4, 43; 5,7).

2. Dieta

Per mantenere puro il cuore e pura la mente, per nu-

trire un’anima tesa verso l’alto e un corpo sano e pulito, bisogna

attribuire un’attenzione speciale alla dieta dell’essere umano,

E’ proprio questo che 1’Islam fa. Alcuni individui superficiali

possono pensare che il cibo e la bevanda non esercitino alcun effetto

diretto e importante sulle condizioni generali della persona che si

riempie lo stomaco regolarmente. Ma non è certo questo il punto

di vista dell’Islam, che prende sul serio questa questione. Sotto

questo riguardo, il principio generale dell’Islam è il seguente:

tutte le cose che sono pure di per sè e buone per l’uomo

sono lecite per la sua dieta, se vengono assunte in quantità mode-

rata. Tutte le cose che sono impure e cattive o dannose sono anche

illecite, in tutte le circostanze ordinarie. C’è sempre spazio

e flessibilità per le eccezioni, nei casi di assoluta necessità

(Qur’an, 7, 157; cfr., più sopra, la sezione sull’etica islamica).

Al di là di questo principio generale, vi sono certi cibi

e bevande che DIO dichiara specificamente proibiti. Fra questi

vi sono: 1a carne animali e uccelli morti da sè, la carne di

porco e quella di qualunque animale che sia stato ammazzato invo-

cando un nome che non sia quello di DIO (2, 173; 5, 4). Le be-

vande che 1’Islam considera dannose e distruttive per il fisico

come per la psiche sono indicate nel versetto coranico che proi-

bisce tutte le sostanze intossicanti e tutte le forme di scommes-

sa o di gioco d’azzardo. (5, 93-94).

La proibizione di questi cibi e bevande non è assolutamente

un atto arbitrario o un decreto dispotico di DIO. Si tratta innan-

zitutto di un intervento divino nell’interesse precipuo dell’uomo

e per il suo bene specifico. Quando il Qur’an descrive negativa-

mente queste cose proibite e 1e qualifica impure e dannose, esso

rivolge la sua attenzione alla morale e alla saggezza dell’uomo,

alla sua salute e alla sua ricchezza, alla sua religiosità e alla

sua condotta; tutti elementi preziosi nella prospettiva del1’I-

slam. Le ragioni che stanno dietro questo divino intervento sono

molteplici. Sono di natura intellettuale e spirituale, etica e menta-

le, fisica ed economica. I1 solo scopo consiste nell’insegnare

all’uomo il modo in cui svilupparsi secondo un modello etico elevato,

per essere un elemento integro e sano nella struttura della famiglia,

poi in quella della società e infine nell’ampio contesto dell’umanità.

Medici e sociologi sono ora in grado di verificare i benefici di

queste norme islamiche.

L’Islam è ortodosso ed esente da compromissioni per quanto

attiene al nutrimento organico dell’uomo, poichè esso agisce

sul fondamento dalla sua realtà spirituale e della sua crescita

intellettuale. Ciò risulta chiaro laddove si consideri che alcuni

alimenti sono vietati in via generale, come si è detto più sopra,

mentre altri sono leciti o vietati a seconda della quantità. Le

cose che sono lecite per il Musulmano debbono essere assunte in

dosi moderate, senza indulgere o eccedere (Qur’an, 7, 31). Se da un

lato evita tutti gli alimenti proibiti come genere e come quantità,

dall’altro il Musulmano è esortato da DIO a godere dei Suoi doni

generosi e a mostrare gratitudine al Misericordioso

Sostentatore (2, 168, 172; 5, 90-91) (1).

(1) Ci si perdoni questa parziale ripetizione, che ha lo scopo di

dare rilievo al punto in questione. In rapporto con tutto quanto

l’argomento, si veda più sopra il concetto di morale e si veda inoltre

Ebrahim Kazim, M.D., “Medical Aspects of Forbidden Foods in Islam”,

AL-ITTIHAD (The Muslim Students Association of the United States

and Canada), 1391/1971, vo1.8, n°i, pp.4-6. questo articolo termina

con un’eccellente bibliografia di fonti mediche e religiose.

3. Abbigliamento e ornamenti

Riguardo l’abbigliamento e gli ornamenti della persona, 1’Islam

prende in seria considerazione i principi della decenza, della mode-

stia, della castità, della severità, dell’austerità. Tutto ciò che

nell’abbigliamento a negli ornamenti sia incompatibile con la salva-

guardia, il rispetto a lo sviluppo di queste qualità è ritenuto ille-

cito dall’Islam. Gli abiti e le mode che possano stimolare arroganza,

orgoglio e vanità sono rigorosamente proibiti. Idem per quegli orna-

menti che possano indebolire la moralità dell’uomo o minacciare la sua

virilità. L’uomo deve restare fedele alla sua natura virile, che gli

è stata data da DIO, e salvaguardarla da tutto quanto possa indebolire

e mettere in pericolo questa caratteristica. E’ per questo motivo

che 1’Islam ammonisce l’uomo a non usare materiali come la seta pura

e certe pietre preziose, ad esempio l’oro, a scopo di ornamento.

Questi sono materiali che si adattano solo alla natura femminile.

La bellezza dell’uomo non sta’ nel portare pietre preziose o nell’osten-

tare abiti di seta pura, bensì consiste in un tipo di vita improntato

a un’etica elevata, a maniere affabili, a una condotta irreprensibile.

Quando 1’Islam consente alla donna di usare le cose che sono

proibite all’uomo e sono adatte alla sola natura femminile, esso

non lascia andare la donna per la sua strada, senza controllarla.

L’Islam le permette le cose adeguate alla sua natura e, contempo-

raneamente, la mette in guardia contro tutto ciò che potrebbe scon-

volgere tale natura. I1 modo in cui le donne devono vestirsi, truc-

carsi, camminare e addirittura guardare costituisce una questione

assai delicata e 1’Islam rivolge ad essa un’attenzione tutta spe-

ciale. La posizione dell’Islam a tale proposito si incentra sul

bene generale delle donne. L’Islam ha esortato uomini e donne ad

aiutare in particolar modo il sesso femminile

a tutelare e sviluppare la propria dignità e castità, a salvaguardar-

la chiacchiere vuote, da pettegolezzi maliziosi, dai sospetti.

L’esortazione è contenuta in questi versetti coranici:

Di’ ai fedeli che essi devono abbassare lo sguardo e tutelare

1a loro medestia; ciò sarà per loro causa di maggiore purezza. E DIO

è bene informato di tutto quel ch’essi fanno. E di alle Fedeli che

esse devono abbassare lo sguardo e tutelare la loro modestia; che

non devono esporre la loro bellezza e i 1oro ornamenti, se non quanto

(normalmente) si vede; che devono tirarsi il velo sul petto e non

esporre la 1oro bellezza se non davanti ai mariti, ai padri… (e

certi altri membri della famiglia); e che non devono

battere i piedi sì da attrarre l’attenzione sui loro ornamenti na-

scosti (24, 30-31).

L’Islam è molto sensibile al modo di vestire e di adornarsi.

Esso dichiara in maniera cristallina che uomini e donne devono atte-

nersi alla loro natura specifica, al fine di salvaguardare le loro

inclinazioni naturali e dotarle di modestia e moralità elevata. Si

tramanda che il Profeta Muḥammad dicesse che DIO condanna gli uomini

che si comportano a agiscono in maniera effeminata, così come condanna

le donne che si comportano o agiscono in maniera mascolina. Nondimeno,

bisogna tener presente che l’Islam non stabilisce restrizioni circa

i capi di vestiario e gli ornamenti, proclamandoli dannosi o adeguati. In realtà,

il Qur’an da a tali oggetti il nome di doni di DIO e rimprovera coloro

che li reputano proibiti (7, 32-33)?

4. Giochi e divertimenti

E’ interessante notare come 1a maggior porte delle forme islami-

che di culto (orazioni rituali, digiuno, pellegrinaggio ecc.) pre-

sentino caratteristiche igieniche e addirittura “ginniche”, benchè

siano essenzialmente e naturalmente ordinate a fini spirituali. Ma

chi può negare la costante interazione fra l’elemento fisico e l’ele-

mento morale dell’uomo? Ma non è questo tutto quello che l’Islam

ha da dire circa l’argomento dei giochi e dei divertimenti. Tutto

quello che provoca una sana riflessione o rinfresca la mente e rivi-

talizza il corpo per tener l’uomo in forma, viene incoraggiato e

positivamente considerato dall’Islam, fin dove non comporti o non

agevoli il peccato o procuri un danno ovvero ostacoli e ritardi l’a-

dempimento di altri obblighi. Precetto generale in questa materia

è la dichiarazione del Profeta secondo cui tutti i Fedeli di DIO

hanno buone qualità, ma il più robusto è meglio del più debole.

Si riferisce inoltre che egli approvasse quei giochi e quegli eser-

cizi che temprano il fisico e rafforzano il morale.

Costituisce uno spiacevole errore l’associare ai giochi e ai

divertimenti quelle attività che non sono nè ginniche nè ludiche.

Alcuni considerano il gioco d’azzardo e il bere come passatempi

leciti e divertimenti innocui, ma questo non è il punto di vista

de11’Islam. La vita è degna di essere vissuta e ci è donata per

uno scopo ben preciso. Nessuno ha il diritto di abusarne lascian-

dola andare per conto suo o mettendosi alle dipendenze della sorte

e del caso. Dunque non si ha nè intrusione nè violazione dei “di-

ritti dell’uomo” quando 1’Islam estende il suo divino intervento

fino a organizzare l’esistenza umana negli aspetti

privati dell’individuo. Infatti la vita è il Bene più prezioso del-

l’uomo ed è preordinata a nobili scopi; quindi 1’Islam ha indicato

all’uomo il modo per viverla in maniera giusta e piacevole. Fra

le misure adottate a questo fine vi è la proibizione del gioco

d’azzardo: il gioco d’azzardo è più una causa di tensione che una

causa di distensione. Significa abusare gravemente della vita se

la si sottopone al caso e alla sorte. E’ una deviazione dal corso

normale della vita l’affidare il proprio successo economico alla

ruota della roulette o affidare le proprie sostanze

ai capricci della fortuna a un tavolo da gioco.

Per proteggere l’uomo da tutte queste non necessarie tensioni men-

tali, da questo logorio inutile del sistema nervoso, e per renderlo

capace di vivere una vita secondo natura nei mezzi come nei fini,

1’Islam ha vietato le scommesse e i giochi d’azzardo di ogni genere

e specie.

Analogamente, è una fuga vergognosa dalla realtà e un insulto

irresponsabile al più nobile elemento presente nell’essere umano,

vale a dire l’intelletto, l’impantanarsi nel vizio del bere. Le

minacce e le tragedie dell’intossicazione sono troppo evidenti per

dover essere descritte. Molte esigenze sono quotidianamente distrut-

te a causa di questo vizio. Molte famiglie si dissolvono sotto

questa minaccia. Miliardi e miliardi vengono bevuti ogni giorno.

Dietro innumerevoli porte si nascondono la miseria e l’infelicità

prodotte dall’abitudine al bere. Oltre alla distruzione

della salute, ci sono la depressione psichica, l’intorpi-

dimento mentale, il dissolvimento della ricchezza, la disintegra-

zione delle famiglie, la rinuncia alla dignità umana, il sabotaggio

della morale. L’umiliante fuga dalla realtà; ognuno dei cosiddetti

“bevitori sociali” è potenzialmente un alcoolizzato. L’Islam non

può tollerare queste minacce nè può permettere che l’uomo abusi

della propria vita in questa maniera tragica. E’ questa la ragione

per cui 1’Islam non fa rientrare il bere e il gioco d’azzardo

nella categoria dei passatempi e dei divertimenti innocui, ma,

invece, li bandisca una volta per tutte. Per apprezzare il punto

di vista dell’Islam sotto questo rapporto, è sufficiente esaminare

qualche statistica, leggere un resoconto medico, visitare un’agenzia

di servizio sociale, considerare qualche caso processuale. Fra

tutti i problemi sociali, l’alcoolismo è di gran lunga il più serio.

Più di mezzo milione di americani diventano alcoolisti ogni anno.

Un individuo su dieci o dodici che bevono il primo bicchiere in un

determinato anno è destinato a diventare alcoolista. Tutte queste

dolorose tragedie, tutti questi disastri reali parlano molto più

forte di qualunque argomentazione teologica o economica.

La vita familiare (2)

Vi sono state molte definizioni e descrizioni della famiglia.

Per il nostro obiettivo, adotteremo la definizione seguente. La

famiglia è un gruppo sociale umano i cui membri sono tenuti insieme

da vincoli di sangue e/o da relazioni coniugali.

II vincolo familiare comporta reciproci diritti e doveri che

sono prescritti dalla religione, messi in vigore dalla Legge e os-

servati dai membri della comunità. Di conseguenza, i membri, della

famiglia assolvono a determinate funzioni. Queste riguardano l’i-

dentità familiare e il sostentamento della famiglia, l’eredità e

le decisioni, l’affettuosa protezione dei più giovani e la garanzia

della sicurezza per i più anziani, il massimo dello sforzo per

garantire la continuità della vita famigliare.

Coma si può agevolmente dedurre da ciò, le basi della famiglia

in Islam sono date dai vincoli di sangue e/o dai vincoli coniugali.

Adozione, libera unione, coincidenza di interessi, consenso indivi-

duale all’intimità sessuale, semplice convivenza non danno

luogo a una famiglia intesa in senso islamico. L’Islam costruisce

la famiglia su solide basi, che sono 1a capacità di garantire una

ragionevole continuità, del nucleo, vera sicurezza e intimità matura.

Le basi della famiglia devono essere così salde e naturali da garan-

tire sincera reciprocità e gratificazione morale. L’Islam ritiene

che non esista rapporto naturale che non sia rapporto di sangue

e che non esista giusto mode11o di intimità sessuale

diverso da quello in cui si uniscono morale e gratificazione.

(2) Questa dissertazione è semplicemente uno schema del più accurato

saggio dell’autore su The Family Structure in Islam, di imminente

pubblicazione presso le American Trust Publications.

L’Islam riconosce la virtù religiosa, la necessità sociale

e i vantaggi morali del matrimonio. I1 comportamento normale per

l’individuo musulmano comporta una scelta a favore della famiglia

e la ricerca di una famiglia propria. Matrimonio e famiglia sono

istituzioni centrali nell’ordinamento islamico. Vi sono molti

passi del Qur’an e molti detti tradizionali del Profeta che arrivano

a dire che, quando un Musulmano si sposa, ha con ciò stesso

adempiuto a metà della religione; gli rimane da essere timorato di

DIO a attento all’altra metà.

Gli studiosi musulmani hanno dedotto dal Qur’an che il ma-

trimonio è un dovere religioso, una salvaguardia morale, un com-

pito sociale. Come dovere religioso, deve essere adempiuto; ma,

come tutti gli altri doveri islamici, esso viene imposto solo a

coloro che sono in grado di far fronte alle responsabilità che

esso comporta.

1. Il significato del matrimonio

Qualunque sia il significato che si attribuisca al matrimonio,

l’Islam considera tale istituzione come un vincolo possente (mitha-

qun ghaliz), un dovere nel senso vero e proprio del termine. E’

un obbligo imposto alla vita, alla società, alla sopravvivenza

della specie umana. E’ un obbligo che i coniugi assumono l’uno

di fronte all’altro e ambedue dinanzi a DIO. E’ un dovere nel

quale essi trovano reciproco adempimento e autorealizzazione, amore

e pace, compassione a serenità, conforto e speranza. Tutto questo,

perché in Islam il matrimonio è considerato innanzitutto come un

atto giusto, un atto di devozione responsabile. I1 controllo ses-

suale può essere una vittoria morale, la riproduzione una

necessità comunitaria o un servizio, l’integrità della salute un

gratificante stato mentale. Ma questi valori e questi obiettivi del

matrimonio assumono un significato speciale e si trovano irrobusti-

ti qualora si combinino armonicamente con l’idea di DIO, qualora

vangano concepiti come doveri religiosi e interiorizzati come

benedizioni divine. E questo sembra essere il punto focale del

matrimonio in Islam. Per parafrasare alcuni versetti coranici,

agli uomini viene rivolto l’appello ad essere responsabili nei

riguardi di DIO, Che li ha creati da un’unica anima e da essa

ha creato la sua compagna, e dall’uno a dall’altra ha tratto mol-

ti uomini e donne (4, 1). E’ stato DIO Che ha creato l’umanità

da un’unica anima vivente e da quell’anima ha tratto una sposa,

sicchè l’uomo vi trovasse conforto e riposasse in lei (7, 107).

Ed è un segno di DIO che Egli abbia creato per gli uomini, da loro

stessi, della spose, affinchè essi cercassero nella compagnia

di queste la pace e la tranquillità, e che Egli abbia posto amore

e misericordia reciproca fra loro. Certamente in ciò vi sono dei

segni per coloro che riflettono (30, 21). Anche nei periodi più

agitati della vita coniugale e nel bel mezzo delle controversie e

delle liti legali, il Qur’an ricorda le parti della legge di DIO;

esso prescrive di essere gentili gli uni con le altre, animati da

vera carità reciproca a soprattutto di essere responsabili dei

propri doveri dinanzi a DIO.

Questa è la base su cui riposano tutti i doveri della moglie

e da cui essi derivano. Per adempiere a questo dovere fondamentale,

la moglie deve essere fedele, leale, onesta. In particolare, non

deve ingannare il suo sposo evitando deliberatamente il concepi-

mento, per non privarlo di una legittima prole. Nè deve consentire

ad alcun altro di avere accesso a ciò che è diritto esclusivo del

marito, ossia l’intimità sessuale. Corollario di ciò è che la moglie

non deve ricevere o intrattenere estranei in casa senza che il ma-

rito ne sia a conoscenza e vi consenta. Nè può accettare doni da

parte di estranei senza il consenso del marito. Ciò mira probabil-

mente a evitare gelosie, sospetti, chiacchiere ecc. e anche a ga-

rantire l’integrità di tutte le parti interessate. La proprietà

del marito è deposito fiduciario presso la moglie. Se questa

ha accesso a qualche parte di tale proprietà o se

le viene affidata una qualche somma, ha il dovere di compiere

il suo dovere con avvedutezza e parsimonia. Non può

prestare o adoperare senza il permesso del marito ciò che appar-

tiene a lui.

Quanto ai rapporti intimi, la moglie deve rendersi desiderabi-

le; deve essere attraente, comprensiva, deve collaborare. Una mo-

glie non può negarsi al marito, poichè il Qur’an parla dei coniugi

come di un conforto reciproco. Salute e decenza hanno, ovviamente,

la dovuta considerazione. Inoltre, la moglie non ha il permesso

di fare quelle cose che possono rendere la sua compagnia meno

desiderabile, o meno gratificante. Se agisce così o se si trascura,

il marito ha il diritto di intervenire sulla sua libertà per correg-

gere la situazione. Per assicurare il massimo di felicità per am-

bedue, egli non ha il diritto, da parte sua, di fare ciò che possa

impedire la gratificazione della moglie.

4. Rapporto genitori figli

A. I diritti del figlio; i doveri dei genitori. L’approccio

generale dell’Islam ai figli può essere sintetizzato in poche affer-

mazioni di principio. Primo, è comando divino che nessun figlio

divenga causa di danno per i suoi genitori (Qur’an, 2, 233). Se-

condo, i genitori devono fare in modo che il figlio non danneggi

nessuno di loro due. I1 Qur’an riconosce molto esplicitamente

che i genitori non sono sempre imnuni da preoccupazioni eccessive di

protezione o da negligenza. Sulla base di questo riconoscimento,

esso ha perciò stabilito certe linee direttrici e ha evidenziato

certe realtà in rapporto ai figli. Esso afferma che i figli sono

motivi di gioia così come sono fonti di orgoglio, causa di vanità

e di falsa sicurezza, motivi di distrazione e di tentazione. Ma

esso si affretta a porre in risalto le grandi gioie dell’anima e

a mettere in guardia i genitori contro la fiducia eccessiva, il

falso orgoglio, le azioni ingiuste che possono essere causate dai

figli. I1 principio religioso e morale di questa posizione è che

ogni individuo, genitore o figlio, dipende direttamente da DIO ed

è autonomamente responsabile delle proprie azioni. Nessun figlio

potrà assolvere il genitore nel Giorno del Giudizio. Nè un genitore

può intercedere per il proprio figlio. Infine, 1’Islam è estremamente

sensibile alla dipendenza cruciale del figlio dai genitori. I1 loro

ruolo decisivo nella formazione della personalità del figlio è espli-

citamente riconosciuta dall’Islam. In un suo detto molto suggestivo,

il Profeta dichiarò che ogni bambino nasce entro la malleabile natura

della fitrah (cioè, il puro stato naturale di Islam): sono i suoi ge-

nitori che ne fanno, a mano a mano, un giudeo, un cristiano o un paga-

no.

In conformità con queste direttive e più in particolare, uno dei

più inalienabili diritti del bambino in Islam è il diritto alla vita

e a eque possibilità di vita. La preservazione della vita del bambino

è il terzo comandamento nell’Islam (6, 151, cfr. 17, 23 ss.).

Un altro diritto parimenti inalienabile è il diritto alla legitti-

mità, secondo il quale ogni bambino deve avere un padre e un padre

soltanto. Un terzo gruppo di diritti concerne la socializzazione,

la crescita e la cura generale. Prendersi cura dei bambini è in Islam

una delle azioni più lodevoli. I1 Profeta era innamorato dei bambini

ed espresse la propria convinzione che la comunità musulmana si sarebbe

distinta fra tutte quante per la sua amabilità coi bambini. E’ carità

di grado elevato occuparsi del loro bene spirituale, delle loro esigen-

ze educative, del loro benessere generale. Interesse e responsabilità

per il bene dei bimbi sono questioni di primaria importanza. Secondo

1e istruzioni del Profeta, nel settimo giorno il bambino deve avere

un nome bello e piacevole e la sua testa deve essere rasata, oltre a

tutte le altre misure igieniche richieste per una crescita in salute.

Ciò deve dar luogo a un’occasione di festa contrassegnata dalla gioia

e dalla carità.

Responsabilità e compassione verso i1 bambino sono un fatto

di rilievo religioso e di importanza sociale. Che i genitori siano

vivi o morti, presenti o assenti, noti o sconosciuti, il bambino

devo ricevere il massimo delle cure. Qualora vi siano dei parenti

abbastanza stretti per essere ritenuti responsabili del bene del

bimbo, saranno loro a dover adempiere a questo dovere. Ma se non

c’è nessun parente, la cura del bimbo diventa una congiunta responsa-

bilità di tutta quanta la comunità musulmana, dei funzionari designati

e della gente comune.

B. I doveri del figlio; i diritti dei genitori. I1 rapporto

fra genitore e figlio è complementare. Genitori e figli, in Islam,

sono vincolati fra loro da mutui doveri e da

obblighi reciproci. Ma la differenza d’età è talvolta così grande

che fa crescere i genitori fisicamente e mentalmente deboli.

Ciò si accompagna spesso a impazienza, degenerazione delle energie,

ipersensibilità, talvolta cattivo giudizio. Ciò può dar luogo ad

abusi dell’autorità dei genitori o a estraniazione e

disagio connesso alla diversità di generazione, qualcosa di simile a

ciò che viene ora chiamato il “gap generazionale”. L’Islam ebbe

presenti tali considerazioni quando rivolse la propria attenzione

a certi fatti e assunse misure essenziali atte a governare il rapporto

dell’individuo coi suoi genitori.

I1 fatto che i genitori siano avanzati in età e ritengano gene-

ralmente di avere maggiore esperienza non convalida di per sè le loro

vedute e non sancisce i loro schemi. Analogamente, la giovinezza non

è di per se stessa la sola fonte d’energia, di idealismo o di saggezza.

In vari contesti, il Qur’an cita esempi in cui i genitori sbagliavano

nel loro rapporto coi figli ed esempi in cui i figli giudicavano male

le posizioni dei loro genitori (Qur’an, 6, 74; 11, 42-46; 19, 42-48).

. Più rilevante, forse, è il fatto che consuetudini, usi, costu-

mi, oppure il sistema di valori dei genitori e i loro schemi non co-

stituiscono, di per sè, la verità e la giustizia. In vari passi il

Qur’an rimprovera duramente quelli che si allontanano dalla verità

per il solo motivo che essa risulta loro nuova, oppure contraria

ai valori della loro famiglia o incompatibile col sistema di valori

dei loro genitori. Inoltre, esso mette a fuoco il fatto che, se la

lealtà e l’obbedienza verso i genitori può allontanare l’individuo

da DIO, allora egli deve mettersi dalla parte di DIO. E’ vero, i

genitori meritano considerazione, amore, compassione e misericordia.

Ma se essi si scostano dalla loro linea di marcia e contestano i

diritti di DIO, allora bisogna tracciare e osservare una linea netta

di demarcazione.

I1 Qur’an riassume l’intera questione nel concetto principale

di ihsan, che denota ciò che è buono, giusto, bello. L’applicazione

pratica del concetto di ihsan nei rapporti coi genitori comporta

attiva simpatia e pazienza, gratitudine e compassione, rispetto per

loro e preghiere per le loro anime, rispetto delle loro funzioni

legittime e intervento con suggerimenti sinceri.

Una dimensione basilare dell’ihsan è la deferenza. I genitori

hanno il diritto di attendersi l’obbedienza dai loro figli in parziale

restituzione di quanto essi hanno fatto per loro. Ma se i genitori

pretendono l’ingiustizia o richiedono una cosa sbagliata, allora

la disobbedienza diventa non solo giustificata, ma anche necessaria.

In un caso o nell’altro, l’atteggiamento dei figli verso i genitori

non può essere categoricamente qualificata come sottomissione o

sfida irresponsabile.

L’ultima parte integrante dell’ihsan che dobbiamo menzionare qui

è che i figli sono responsabili del mantenimento dei genitori. E’ un

dovere religioso inderogabile che ci si occupi dei genitori in caso

di bisogno e li si aiuti a vivere nel modo più agiato.

5. Altri aspetti della vita famigliare

Strettamente connesso con la vita familiare è il trattamento

dei “servi”, degli altri membri della famiglia, dei parenti acqui-

siti e dei vicini. A coloro che tengono una servitù permanente il

Profeta Muḥammad ha dato consigli e suggerimenti. I padroni devono

trattare i servi come dei fratelli, non come delle cose, perché se uno

tratta bene il suo servo, ha detto il Profeta, DIO gli renderà facile

e gradevole la morte, cioè un momento che di norma è penoso e diffici-

le. I servi hanno diritto alla giustizia, all’affabilità, alla compas-

sione, a cibo, vestiario e altre spese personali. I1 Profeta arriva

al punto di dire che devono essere nutriti e vestiti

col cibo e col materiale usato dai loro padroni; a ciò debbono prov-

vedere i padroni, come a una parte dei loro doveri verso i servi.

questi non devono essere vessati o insultati o sovraccaricati di la-

voro. Questa norma mostra come 1’Islam riconosca la dignità dell’uomo

e onori il lavoro, senza eccitare alla lotta di classe o alla tirannide

proletaria. L’essere servo o lavoratore non comporta che si sia

privati dei diritti o che si soffra nella dignità di essere umano.

Nè favorisce l’assuefazione alla droga dell’utopia proletaria.

Tutti i membri di una vera comunità islamica si trovano su

piede di parità, perché l’Islam non riconosce il sistema di clas-

se o la cittadinanza di seconda categoria. La sola superiorità

riconosciuta dall’Islam è quella che si fonda sulla religiosità e

sulle azioni giuste al servizio di Dio (Qur’an, 9, 105; 49, 13).

L’uomo ha da DIO l’ordine di estendere il massimo del suo

aiuto e della sua amabilità agli altri familiari e parenti, di

mostrar loro autentici sentimenti di amore e di cura. Può essere

interessante notare che in arabo La parola significante “parentela”

deriva da una radice che significa “misericordia” (rahim rahmah).

L’amabilità verso i propri congiunti conduce al Paradiso, che è d’al-

tronde interdetto a coloro che trascurano i loro doveri sotto questo

rispetto. L’estensione del trattamento amabile ai congiunti è de-

scritta dal Profeta come una benedizione divina

sopra la vita e i beni di un individuo. E’ sacro dovere essere buoni

con i congiunti, anche se questi eventualmente non corrispondano

in maniera analoga. Questo dovere e prescritto da DIO a deve essere

osservato per la causa di DIO, indipendentemente dalla risposta

del congiunto (Qur’an, 2, 177; 4, 36; 16, 90; 17, 23-26).

La condizione di vicino di casa è altamente considerata dal

punto di vista dell’Islam. I vicini di ogni specie godono di un

gran numero di privilegi che l’Islam conferisce loro. Nel suo

commento ai precetti coranici relativi a questo punto, il Profeta

Muḥammad disse che nessuno può essere un vero Fedele se i suoi

vicini non si sentono sicuri e tranquilli per quanto

riguarda lui. Ancora: nessuno può essere un vero Fedele se i suoi

vicini passano la notte affamati mentre lui ha lo stomaco pieno.

Chi sarà il migliore coi suoi vicini, disse il Profeta, godrà del

vicinato di DIO nel Giorno della Resurrezione. Fra vicini bisogna

scambiarsi doni ed omaggi e comunicarsi gioie e dolori.

In un altro discorso il Profeta disse: “Sapete quali sono i diritti

di un vicino? Aiutatelo se chiede il vostro aiuto; dategli conforto

se cerca il vostro conforto; fategli un prestito se ne ha bisogno;

mostrategli interesse se è addolorato; curatelo quando è malato;

andate ai suoi funerali se muore; felicitatevi con lui se gli tocca

qualche buona ventura; confortatelo se lo incoglie una qualche diagrazia;

non toglietegli l’aria innalzando la vostra casa senza il suo consen-

so; non disturbatelo; quando comprate della frutta, dategliene una

parte; se non gliela date, portate i vostri acquisti direttamente in casa

vostra e non lasciate che i vostri figli li portino fuori ed eccitino

la fame dei suoi figli”. Inoltre, si tramanda che il Profeta disse

che i diritti dei vicini erano tenuti dall’angelo Gabriele in cosi

grande considerazione, che riteneva i vicini dovessero ricevere parte

dell’eredità di un individuo (Cfr. anche i versetti indicati nel

paragrafo precedente).

La vita sociale

La vita sociale del vero Musulmano è basata su principi

supremi e deve garantire felicità e prosperità all’individuo

così come alla società. Lotta di classe, esclusivismi di categoria

e dominio di individui sulla società o viceversa sono fatti estranei

alla vita sociale dell’Islam. In nessun punto del Qur’an o delle

tradizioni del Profeta Muḥammad si

parla di superiorità in virtù dell’appartenenza a un ceto, dell’o-

rigine familiare o della ricchezza. Al contrario, vi sono molti

versetti del Qur’an e detti di Muḥammad che rammentano agli uomini

i fatti vitali dell’esistenza, fatti che servono contemporaneamente

cone principi della struttura sociale della vita islamica. Fra

questi, c’è il fatto che l’umanità costituisce una famiglia sola,

nata dal medesimo padre e dalla medesima madre, una famiglia che

aspira agli stessi obiettivi ultimi.

L’unità del genere umano è concepita alla luce della comune

discendenza da Adamo ed Eva. Ogni essere umano è un membro della,

famiglia universale fondata dal Primo Padre e dalla Prima Madre

e ha perciò i titoli per godere dei vantaggi comuni, così come

è tenuto a partecipare delle comuni responsabilità. Quando gli

uomini si rendono conto che tutti quanti discendono

da Adamo ed Eva e che i due progenitori furono creature di DIO, non

c’è più spazio per il pregiudizio razziale o l’ingiustizia sociale

o la cittadinanza di seconda categoria. Gli uomini si trovano allora

uniti nella loro condotta sociale, poichè sono uniti, sul piano

naturale, dal vincolo della parentela comune. Nel Qur’an e nelle

tradizioni di Muḥammad c’è un costante riferimento a questo

fatto importante: l’unità dell’umanità nella sua natura e nelle

sue origini, Questo serve a eliminare l’orgoglio razziale e le

pretese alla superiorità nazionale o etnica e prepara la strada

alla genuina fratellanza. (Qur’an. 4, 1; 7, 189; 49, 10-13).

L’unità dell’umanità è non solo nella sua origine, ma anche nei

suoi fini ultimi. Secondo 1’Islam, il fine ultimo dell’umanità è

DIO. Da Lui veniamo, per Lui viviamo e a Lui tutti quanti ritornere-

mo. Infatti, il solo scopo della creazione quale ci viene descritto

dal Qur’an è l’adorazione di DIO e il servizio della Sua causa, la

causa della verità o della giustizia, dell’amore e della misericordia,

della fratellanza e della giusta morale (Qur’an. 51, 56-58).

I rapporti fra persona e comunità si basano su questa unità

di origine e su questo fine ultimo, intesi come retroterra della

vita sociale nell’Islam. Il ruolo della persona è complementare

a quello della società. Fra l’una e l’altra vi sono solidarietà

sociale e mutua responsabilità. L’individuo è responsabile del

bene comune e della prosperità della sua società. Questa respon-

sabilità non è solo verso la società, ma anche verso DIO. In tal

modo l’individuo opera con una giusta coscienza comunitaria

e un genuino senso di responsabilità ineluttabile. La sua funzione

sta nel fare del suo meglio per la sua comunità e contribuire al

bene comune di essa. D’altronde, anche la comunità è responsabile

dinanzi a DIO del bene della persona singola. Quando il singolo

ne è in grado, egli è il contribuente e la comunità è la beneficiaria.

In compenso, egli ha diritto alla sicurezza e alla cura, nel caso

che diventasse inabile. In questo caso il beneficiario è lui,

mentre la società è la parte contribuente. Così diritti e do-

veri si corrispondono armonicamente. Responsabilità e obblighi

sono reciproci. Non c’è uno Stato che opprima l’individuo ed

elimini la sua personalità. Analogamente, non c’è un individuo

o una classe di individui che sfruttino la società e corrompano

lo Stato. C’è armonia, pace e sicurezza reciproca. C’è un’inte-

razione costruttiva fra persona e comunità.

Oltre all’unità del genere umano nella sua origine e nel

suo fine ultimo e oltre a questa reciprocità di responsabilità

e di obblighi, la vita comunitaria dell’Islam è caratterizzata

dalla cooperazione nella bontà e nella misericordia. Essa è

contrassegnata da un completo riconoscimento della persona e

dei suoi sacrosanti diritti alla vita, alla proprietà e all’o-

nore. E’ anche contrassegnata da un’efficace funzione della

persona singola nel dominio dell’etica comunitaria. In una

comunità islamica, la persona singola non può essere indiffe-

rente. Essa è tenuta a svolgere una parte attiva nella

instaurazione di un’etica comunitaria integra mediante l’appello

al bene e l’opposizione al male sotto qualsiasi forma, usando

tutti i mezzi leciti a sua disposizione. Facendo così, non

solo combatte il male e fa il bene, ma aiuta anche gli altri

a fare lo stesso. L’individuo che si sente indifferente nei

confronti della comunità è un peccatore egoista; la sua morale

è in disordine, la sua coscienza è nel caos, la sua fede è

asfittica.

La struttura della vita comunitaria nell’Islam ha caratteri

di nobiltà e di integrità. Fra gli elementi sostanziali di questa

struttura vi sono l’amore sincero per gli altri esseri umani,

la misericordia per i giovani, il rispetto per gli anziani,

il conforto e la consolazione per gli sventurati, l’interesse

affettuoso per i malati, la compassione per gli afflitti, il

genuino sentimento di fratellanza e solidarietà comunitaria; il

rispetto per l’altrui diritto alla vita, alla proprietà, all’o-

onore; la mutua responsabilità fra persona e comunità. E’ fre-

quente incontrare affermazioni del Profeta come queste:

Chi allevia un essere umano da un dolore di

questo mondo, DIO allevierà lui da un dolore nel Giorno del

Giudizio.

Chi non ha misericordia per i più giovani e rispetto

per i più anziani non è uno di noi Musulmani.

Nessuno di voi è un vero Fedele dell’Islam se non desi-

dera per il suo prossimo ciò che desidera per se stesso.

Chi esorta gli altri al bene è come chi fa il bene e

sarà ricompensato in maniera adeguata, ma chi istiga al male

è come chi fa il male e sarà punito in conformità.

Nel Qur’an, d’altronde, si trovano moltissime istru-

zioni divine come queste:

O voi che credete! temete DIO come deve essere temuto

e non morite se non in stato di Islam. E tenetevi stretti, tutti

insieme, alla Corda di Dio, senza dividervi fra voi.

E ricordate con gratitudine i favori di DIO su di voi;

perché eravate nemici e Lui ha unito i vostri cuori nell’amore, così

che per Sua Misericordia siete diventati fratelli; eravate sull’or-

lo dell’abisso del Fuoco e Lui vi ha salvati. E’ così che DIO vi

rende manifesti i Suoi Segni, affinchè possiate essere guidati.

Fate che sorga in mezzo a voi un gruppo di uomini che esorti a

tutto ciò che è buono, ordinando ciò che è giusto e vietando ciò

che è sbagliato. Sono loro quel1i che raggiungono la felicità

(3, 102-104).

0 voi che credete! Adempiete a tutti gli obblighi,.. e soccor-

retevi a vicenda in giustizia e pietà, ma non soccorretevi nel pec-

cato e nel rancore. Temete DIO; chè Dio è rigoroso nel castigo

(5, 1-3).

In aggiunta a quanto è stato detto, le direttive sociali dell’I-

slam possono essere viste, una volta di più, nell’ultimo discorso

del Profeta Muḥammad durante il pellegrinaggio. Rivolgendosi alle

decine di migliaia di pellegrini, egli disse fra l’altro:

Uomini! ascoltate le mie parole, perché io non so se un altro

anno mi sarà concesso di trovarmi fra voi in questo luogo.

Le vostre vite e proprietà sono sacre e inviolabili fra di voi,

fino a quando vi presenterete al Signore, così come questo giorno

di questo mese è sacro per tutti. E ricordate che dovrete presentarvi

al vostro Signore, il quale vi chiederà conto di tutte le vostre azioni.

Uomini! Voi avete dei diritti sulle vostre mogli ed esse hanno

dei diritti su di voi. Trattate le vostre mogli con amore e con gar-

bo. In verità le avete prese come deposito fiduciario di Dio e avete

reso lecite a voi le loro persone sulla base delle parole di Dio.

Siate sempre fedeli al deposito che vi è stato affidato ed evitate

i peccati.

D’ora in poi, la vendetta del sangue praticata nei giorni

dell’ignoranza e del politeismo è proibita e ogni faida è abolita.

Quanto ai vostri schiavi, fate in modo di nutrirli con lo

stesso cibo di cui vi nutrite voi e vestiteli col materiale di cui

vi vestite voi; se commettono un errore che voi non siete inclini

a perdonare, allontanatevi da loro, perché essi sono i servi di DIO

e non devono essere trattati con durezza.

Uomini! Ascoltate le mie parole e comprendetele. Sappiate che

tutti i Musulmani sono fratelli fra loro. Voi costituite una Sola

Fratellanza. Nulla di quanto appartiene a uno è lecito al suo fra-

tello, a meno che non sia dato spontaneamente. Guardatevi dal com-

mettare l’ingiustizia.

Come questo giorno di questo mese in questo territorio sacro e

inviolabile, cosi DIO ha reso inviolabili la vita, la proprietà e

l’onore di ciascuno di voi, fino a quando vi presenterete al vostro

Signore.

Chi è presente riferisca ciò a chi è assente. Colui al quale

le mie parole verranno riferite se le ricorderà forse meglio

di chi le ha udito direttamente.

In verità, io ho compiuto la mia missione. Ho lasciato

fra voi, come chiaro comandamento, il Libro di DIO e prescrizio-

ni inequivocabili. Se vi atterrete ad esse, non sbaglierete.

La vita economica

La vita economica dell’Islam è basata anch’essa su solide

fondamenta e su istruzioni divine. Guadagnarsi da vivere con

un’onesta fatica è non solo un dovere, ma anche una grande virtù.

La dipendenza di una persona abile da qualcun altro che le pro-

curi da vivere costituisce un peccato dal punto di vista religioso,

una spina sociale e un’umiliazione vergognosa.

Un Musulmano ha da parte di DIO l’ordine di essere autosuf-

ficiente e di evitare di dipendere da chiunque altro. L’Islam

rispetta ogni genere di lavoro inteso a guadagnare il necessa-

rio per vivere, purchè non comporti indecenza o peccato. Con

la coscienza limpida e il dovuto rispetto da parte della comunità,

il Musulmano può rimboccarsi le maniche e intraprendere ogni genere

di lavoro disponibile, per provvedere a sè e a chi dipende da lui.

Si tramanda che il Profeta Muḥammad dicesse che è molto meglio

andare a tagliar legna e venderla per poter mangiare e fare l’ele-

mosina, che non andar a mendicare presso g1i altri, siano o non

siano in grado di dargliene. Secondo l’Islam, la qualifica di

onesto lavoratore non può essere sminuita a seconda del tipo

di lavoro che uno fa per vivere. Tuttavia i lavoratori non hanno

limiti per migliorare la loro condizione ed elevarla il più pos-

sibile. Essi hanno pari possibilità a loro disposizione e godono

di libertà d’iniziativa.

Tutto ciò che l’individuo fa o guadagna con mezzi leciti

è suo possesso personale, che non può essere reclamato nè dallo

Stato nè da chiunque altro. In cambio, egli deve solo adempiere

a certi obblighi verso la comunità e pagare certe tasse allo

Stato. Quando questo è fatto, egli ha pieno diritto a esser pro-

tetto dallo Stato e la sua libertà economica è sicura e garantita.

Nell’ordinamento islamico, non sorge mai la minaccia dell’avarizia

capitalista e della sovversione comunista. I1 soggetto

economico è responsabile della prosperità dello Stato e lo Stato,

a sua volta, è responsabile della sicurezza della persona. I con-

flitti di classe vengono sostituiti dalla cooperazione e dall’armo-

nia; paura e sospetto sono sostituiti dalla sicurezza e dalla fi-

ducia reciproche.

L’ordinamento economico dell’Islam non è costruito alla

luce dei soli calcoli aritmetici e delle sole capaci-

tà di produzione. Anzi, esso è costruito e concepito alla luce

di un completo sistema morale. La persona che lavora

per un’altra persona o per una ditta o un’istituzione ha da DIO

l’ordine di compiere il suo lavoro con efficienza e onestà. I1

Profeta disse che se uno dei Musulmani comincia a fare un lavoro,

DIO ama vederglielo fare bene e con efficienza. Una volta compiuto

il lavoro, il lavoratore ha diritto a un compenso adeguato al suo

servizio. La mancata ricompensa da parte del datore di lavoro o

il tentativo di ridurlo è un’azione che merita d’esser punita, in

conformità con la Legge di DIO.

Le transazioni commerciali sono oggetto di una grande

attenzione da parte dell’Islam. I1 commercio onesto è permesso

e benedetto da DIO. Esso può essere svolto individualmente

oppure in maniera associata. Ma tutti gli affari debbono esse-

re conclusi con franchezza e onestà. La truffa, l’occultamento

dei difetti della merce ad opera dei venditori, lo sfruttamento

delle necessità dei compratori, il monopolio delle merci inteso

a far salire i propri prezzi, sono tutte azioni colpevoli, che

la Logge Islamica punisce. Se si è tenuti a vivere in maniera

decente, lo si deve fare con mezzi onesti e lavorando seriamente.

Diversamente, le condizioni cambiano facilmente, e non solo

questo; chiunque si nutra di provviste illecite, dice il Profe-

ta, nel Giorno del Giudizio brucerà entro il Fuoco infernale.

Per combattere la truffa e lo sfruttamento, 1’Islam richiede

l’onestà negli affari, ammonisce i truffatori, incoraggia il

lavoro onesto e vieta l’usura, ovvero la riscossione del tasso

di interesse. Questo per mostrare all’uomo che egli possiede

a pieno diritto solo ciò per cui ha lavorato, e che lo sfrut-

tamento delle pressanti necessità altrui è irreligioso, inumano

e immorale. DIO dice nel Qur’an:

Quelli che mangiano l’usura non staranno se non come sta

colui che il Maligno ha sospinto alla pazzia col suo contatto.

Questo perché essi dicono: “il commercio è come l’usura”. Ma Dio

ha permesso il commercio e ha proibito l’usura. Quelli che,

dopo aver ricevuto l’orientamento dal loro Signore, desistono,

saranno perdonati per il passato; il loro caso è per DIO (da giu-

dicare). Ma quelli che rinnovano (la colpa) sono

Compagni del Fuoco; ed ivi dimoreranno (per sempre). DIO pri-

verà l’usura di ogni benedizione, ma aumenterà le benedizio-

ni per le opere di carità chè Egli non ama le creature ingrate

e perverse (2, 274-276).

E ha innalzato il Firmamento e ha drizzato 1a Bilancia (della

Giustizia) affinchè voi non trasgrediste l’equilibrio (giusto).

Stabilite perciò il peso con giustizia e non rubate sul peso

(55, 7-9). Ciò vale a guidare l’uomo sulla via della gius-

tizia e della correttezza in tutte le transazioni e in tutti

gli affari. Il futuro dei truffatori è spaventoso e la loro

dimora è angosciosa. Ecco come il Qur’an tratta l’argomento:

Guai a coloro che operano la frode, coloro che, quando

devono ricevere dagli altri esigono la misura colma, ma quando

devono dare in misura o in peso agli altri, allora danno meno

del dovuto. Non pensano che saranno chiamati al resoconto

in un giorno tremendo, un Giorno in cui (tutta) l’umanità starà

davanti al Signore dei Mondi (83, 1-6) ?

Oltre a ciò, vi sono numerosi detti tradizionali del Profeta

Muḥammad che escludono dal novero dei veri Musulmani i truffato-

ri, gli sfruttatori, i monopolisti e gli uomini d’affari disonesti.

Ogni affare che comporti l’ingiustizia o la truffa o lo sfrutta-

mento è rigorosamente vietato e può essere cancellato dalla Legge

anche dopo che è stato concluso. Lo scopo principale della legi-

slazione islamica sull’economia e il commercio è di assicurare

i diritti della persona e mantenere la solidarietà comunitaria,

introdurre un’etica elevata nel mondo degli affari e mandare in

vigore la Legge di DIO in tale sfera d’attività. E’ logico e

conseguente che 1’Islam si interessi ad aspetti come questi,

poichè esso non è una formula spirituale e nient’altro,

ma un completo sistema di vita.

Ai proprietari 1’Islam rammenta continuamente che essi sono

in realtà dei semplici “agenti” di DIO, da Lui nominati affinchè

amministrino le loro sostanze. Non c’è nulla nell’Islam che im-

pedisca al Musulmano di costruirsi una ricchezza e di adoperarla

a fini di miglioramento materiale tramite mezzi leciti e

vie oneste. Resta tuttavia il fatto che l’uomo giunge in questo

mondo con le mani vuote e con le mani vuote si allontana

da esso. L’effettivo e reale proprietario delle

cose è soltanto DIO, di Cui ogni proprietario è semplicemente

un agente di fiducia, un mero incaricato. Questa non è solo la

realtà della vita, ma ha anche un peso notevole sul comportamento

umano. Questa realtà rende il proprietario sempre disponibile a

spendere sulla via di DIO e a contribuire a cause meritevoli.

Lo rende responsabile verso le esigenze della sua comunità e gli

dà un’importante funzione da svolgere una missione sacra alla

quale adempiere. Lo salva dal peccato dell’egoismo, dell’ava-

rizia e dell’ingiustizia. Questa è la vera concezione della pro-

prietà nell’Islam e questo è il vero statuto dei proprietari.

I1 Qur’an considera il possesso della ricchezza come una prova, un

esame, e non come un contrassegno di virtuosa eccellenza o di

privilegio o uno strumento per sfruttare gli altri. DIO dice:

“E’ Lui che vi ha fatti (Suoi) luogotenenti, eredi della terra:

vi ha elevati a ranghi, alcuni al di sopra degli altri,

per mettervi alla prova nei doni che vi ha dati. In verità il vostro Signore è rapido nel castigo, e tuttavia è Indul-

gente, Misericorde” (6, 165).

Inoltre, il Qur’an riferisce agli uomini un interessante di-

scorso avvenuto fra Mosè e la sua gente. Ecco come esso si svolse:

Disse Mosè al suo popolo: Invocate l’aiuto di DIO e aspettate

con pazienza e costanza, perché la terra è di DIO. Egli la dà in

eredità a quello dei Suoi servi che preferisce; e la fine è migliore

per i giusti.

Essi dissero: Noi abbiamo avuto solo triboli, prima e dopo

che tu sei venuto fra noi. – E lui disse: Può darsi che il vostro

Signore distruggerà i vostri nemici e vi farà Suoi eredi sopra la

terra, per mettervi cosi alla prova con le vostre azioni. (7, 128-129).

Questo discorso fra Mosè e la sua gente non comporta in alcun

modo il riconoscimento di una categoria privilegiata di uomini

in grazia del1a loro origine razziale o della loro identità etnica.

Nè significa affatto che il Qur’an approvi la condotta e le

concezioni dei seguaci di Mosè nei secoli successivi. I1 tono del

testo contiene rimprovero e critica verso i dubbiosi e afferma che

ogni cosa sulla terra appartiene a DIO, i1 quale distribuisce tutto

fra i Suoi servi sotto specie di depositi ereditari e oggetti di

prova. I1 Qur’an ritorna spesso su questo punto. Ad esempio,

esso dice:

A Lui appartiene il dominio dei cieli e della terra e tutte

le cose sono rinviate a DIO… Credete in DIO e nel Suo Messag-

gero e spendete (in carità) parte delle sostanze di cui vi ha fatti

eredi. Quelli di voi che credono e spendono (In carità), per loro

c’è un grande compenso. E qual motivo avete per non spendere nella

causa di DIO? Chè a DIO appartiene l’eredità dei cieli e della ter-

ra (57, 5, 7, 1O).

Diversamente dal comunismo, 1’Islam sostituisce all’artificiale

egemonia totalitaria dello Stato comunista la benefica egemonia di

DIO; alla teoria comunista della lotta di classe, sostituisce l’e-

tica integra della responsabilità reciproca e della mutua coopera-

zione. D’altro canto, dà le più grandi garanzie contro l’avarizia

capitalista e l’impietoso sfruttamento dei proprietari. L’ordina-

mento economico dell’Islam garantisce pieno riconoscimento dell’en-

tità “indipendente” della persona e delle sue naturali aspirazioni

al lavoro e alla proprietà. Tuttavia esso non concepisce la persona

umana come assolutamente autonoma da DIO o dall’universo. Non dei-

fica l’uomo o il suo capitale, nè deifica il proletariato o abolisce

l’impresa personale. Accetta l’uomo nella maniera in cui è stato

creato e lo tratta in conformità, facendo concessioni alle sue aspira-

zioni naturali e al suo limitato potere. L’uomo è uomo, e deve

essere accettato e considerato come tale. Non è nè un dio nè un

semidio, che possa arrogarsi poteri assoluti e indiscutibile infal-

libilità. Nè è un essere senza valore e senza significato. E’ un

essere che deve venire riconosciuto nella sua condizione effettiva

e nella sua natura, che non va nè esagerata nè eccessivamente deprez-

zata. Non si trova nè al di sopra nè al di fuori del resto dell’uni-

verso, ma è una parte di un ordine integrale, un elemento della

struttura universale.

Benchè l’uomo sia incoraggiato a operare, sia libero di intra-

prendere, abbia il diritto di guadagnare e possedere, il fatto che

egli sia un semplice fiduciario fornisce la misura necessaria per

collocare nella giusta luce le sue proprietà e i suoi affari. Egli

ha il potere di guadagnare, di investire e di spendere. Tuttavia,

nel fare ciò è guidato da elevati principi che lo salvano dalle de-

viazioni. Per illustrare questo punto può bastare un esempio. I pro-

prietari non sono assolutamente liberi di spendere il loro denaro

o di maneggiare la loro proprietà nel nodo che più piace loro. Vi

sono certe norme che debbono essere seguite nello spendere.

Secondo le parole del Qur’an, DIO ordina al proprietario di adem-

piere ai suoi obblighi finanziari verso i suoi simili e di essere

moderato nelle sue spese private. All’uomo viene sempre ricordato che

è DIO il Vero Provveditore, il Vero Proprietario. Ecco l’affermazione

dal Qur’an:

E rendete i giusti diritti ai parenti, ai bisognosi, al viandan-

te. Ma non dissipate (la vostra ricchezza) come i prodighi. In veri-

tà i prodighi sono fratelli dei malvagi e il malvagio è ingrato verso

il suo Signore.

Non fate in modo che la vostra mano vi rimanga attaccata al collo

(come quella degli avari), nè protendetela con la palma aperta al

massimo (come fanno gli stolti prodighi), Per non andare incontro al

rimprovero e alla miseria. In verità il vostro Signore provvede ab-

bondantemente a sostentare chi Egli vuole, e vi provvede in giusta

misura. Chè Egli conosce ed osserva tutti i Suoi servi (17, 26-27,

29-30).

La vita politica

Come la vita sociale ed economica, così anche la vita politica

dell’Islam si basa su solide fondamenta spirituali ed etiche ed è

orientata dalle istruzioni divine. L’ordinamento politico dell’Islam

è unico nella sua struttura, nella sua funzione, nel suo obiettivo.

Non è pragmatico o strumentale. Non è un regime di tipo clericale,

ossia un sistema in cui una determinata categoria di persone presume

di detenere diritti divini, acquisiti ereditariamente o per altra via,

e si pone al di sopra degli altri cittadini, al di là di ogni respon-

sabilità. E neppure è un dispotismo proletario, dove il potere è

in mano a operai animati dal risentimento. Tanto meno si tratta di

una democrazia, di un governo del popolo. E’ qualcosa di diverso

da tutto questo. Per apprezzare la dottrina politica dell’Islam

bisogna semplicemente rendersi conto che essa si basa sui seguenti

principi:

1. Ogni atto dei Musulmani, come persone singole o come gruppi di

persone, deve essere ispirato e guidato dalla Legge di DIO, dal Qur’an,

che è la “costituzione” scelta da DIO per i Suoi veri servi. E se

alcuni non giudicano (o governano) secondo quanto DIO ha rivelato,

questi sono gl’infedeli… sono loro i malfattori… sono loro i

ribelli (5, 47-50). In verità il Qur’an guida a ciò che è giusto

e buono in massimo grado (17, 9).

2. Nello Stato Islamico la sovranità non appartiene nè agli uomini

di governo nè al popolo. Essa appartiene a DIO; il popolo, inteso

come totalità unitaria, la esercita come qualcosa che DIO egli ha affida-

to in deposito, allo scopo di mandare in vigore 1a Sua legge e realiz-

zare la Sua volontà. L’uomo di governo, lo statista, è soltanto un

esecutore che la comunità popolare ha scelto affinchè serva

il bene comune in conformità della Legge di DIO. Questa è la base

dello Stato Islamico ed è coerente con la veduta islamica circa l’u-

niverso, del quale è DIO il Creatore e nel quale è DIO l’Unico Sovrano.

Nel Qur’an si trovano concetti come questi: Autorità, potere e sovra-

nità non appartengono se non a DIO ovvero: Benedetto sia Colui nelle

Cui mani è il comando, ed Egli su tutte le cose ha potere (Qur’an, 67,

1); o ancora: In verità DIO vi ordina di restituire i depositi a colo-

ro cui essi sono dovuti; e quando giudicate (o governate) fra la gente,

giudicate con giustizia. Come è eccellente l’insegnamento che Egli

vi dà! (4, 58); e ancora: E a DIO appartiene il dominio dei cieli

e della terra e tutto quanto si trova fra quelli e questa; e a Lui

è la definitiva destinazione (di tutti gli esseri) (5, 20).

3. Lo scopo dello Stato Islamico è di amministrare la giustizia

e di garantire a tutti i cittadini la sicurezza a la protezione,

indipendentemente dal colore della loro pelle o dal loro credo,

in conformità con quanto DIO ha stabilito nella Sua costituzione,

il Qur’an. La questione delle minoranze religiose o razziali non

insorge finchè esse sono minoranze rispettose della legge e della

pace comunitaria. I1 Qur’an dice:

0 voi che credete! Rimanete saldi a difesa della giustizia,

come testimoni del retto agire, e non lasciate che l’odio di altri

individui verso di voi vi induca a deviare verso l’errore e ad

allontanarvi dalla giustizia. Siate giusti: è così che si è

vicini alla religiosità; e ricordatevi di DIO, chè DIO è bene in-

formato di tutto quello che voi fate (5, 9; cfr. 4, 135).

In verità DIO difenderà coloro che credono, ……. coloro i

quali, se Noi li installiamo sopra la terra, istituiscono orazioni

rituali ed elargiscono la decima rituale, prescrivono ciò che è

giusto e proibiscono ciò che è sbagliato. Con Dio riposa il fine

(e la decisione) di tutte le cose (22, 38-41).

4. Costituito in vista dei fini suddetti e per la realizzazione della

Legge di DIO, lo Stato Islamico non può stare sotto il controllo di

alcun partito politico che sì basi su fondamenta non islamiche o sia

soggetto a potenze straniere. Esso deve essere indipendente per e-

sercitare, 1a dovuta autorità in nome di DIO e per la Sua causa.

Ciò deriva dal principio secondo cui il Musulmano è uno che si

sottomette soltanto a DIO ed è leale verso la Sua Legge, offrendo

il massimo della cooperazione e dell’appoggio a quanti amministra-

no la vera Legge e ne osservano i dettami. E’ incompatibile con

1’Islam, perciò, che una nazione musulmana appoggi un

partito politico non basato sull’Islam o difenda un governo non

islamico, di derivazione e obiettivi extraislamici. DIO non garan-

tirà mai agli infedeli il modo (di trionfare o di esercitare

il governo) sopra i Fedeli (4, 141). La risposta dei Fedeli, quando

sono convocati da DIO e dal Suo Messaggero affinchè egli possa

giudicare (o governare) fra loro, non è altro che questa: “Noi a-

scoltiamo e ubbidiamo” – dicono,….. DIO ha promesso, a quelli

tra di voi che credono e operano la giustizia, che Egli con ogni

certezza li renderà Suoi luogotenenti sopra la terra, cosi come ha

fatto con quelli che li hanno preceduti; ha promesso che conferirà

rango di autorità alla loro religione, la sola che Egli abbia scelta

per loro; e che cambierà la loro situazione, dopo i1 timore nel

quale sono vissuti, in una situazione di sicurezza e di pace: “Essi

adoreranno Me solo e non Mi assoceranno alcun condòmino” (24, 51; 55).

DIO ha decretato: “Siamo Io e i Miei Inviati a dover prevalere. In

verità DIO è pieno di potenza, capace di mandare in esecuzione la

Sua volontà. Non troverete nessuno che creda in DIO e nell’Ultimo

Giorno e ami coloro i quali resistono a DIO e ai Suoi Inviati, anche

se si tratta dei loro padri e dei loro figli, dei loro fratelli o

dei loro parenti. Per tali Fedeli Egli ha inscritto la Fede nei

loro cuori e 1i ha rafforzati con uno spirito per Lui” (58, 21-22).

5. Lo statista, qualunque statista, non è il sovrano del suo

popolo. E’ un dignitario nel quale i1 popolo si riconosce e

deriva la propria autorità dall’obbedienza del popolo alla Legge

di DIO, la Legge che vincola governanti e governati mediante un

patto solenne, sul quale è DIO a sovrintendere.

I1 contratto politico dell’Islam non è un semplice contratto fra

amministrazione e popolo. E’ un patto che vede da una parte go-

vernanti e governati e dall’altra parte Allah; è un patto che è

moralmente valido e vincolante finchè i contraenti umani adem-

piono ai loro obblighi verso la controparte divina. I goveman-

ti che il popolo riconosce come i migliori nell’applicazione

della parola di DIO hanno diritto all’appoggio e alla collabora-

zione del popolo, finchè essi osservano la parola di DIO. Se

i governati o qualunque membro della comunità non rendesse a tali

governanti il dovuto appoggio e la dovuta collaborazione, un atto

del genere sarebbe ritenuto un’offesa irresponsabile contro il

governo e contro DIO Stesso. Analogamente, se il governo si al-

lontana dal Sentiero di Dio o non osserva la Legge di DIO, esso

non soltanto commette il medesimo peccato contro DIO, ma non

ha nemmeno più i1 diritto all’appoggio e alla lealtà del popolo.

Dice il Qur’an:

0 voi che credete! Ubbidite a DIO, ubbidite al Messaggero

(di DIO) e a quelli che fra voi hanno il carico dell’autorità. Qualora

divergiate in qualcosa fra voi, portate la questione dinanzi

a DIO o al Suo Messaggero, se credete in DIO e nell’Ultimo Giorno.

Questa è la cosa migliore e la più adatta per la determinazione

finale (4, 59),

L’obbedienza verso coloro che detengono

l’autorità è condizionata dalla loro stessa obbedienza alla Legge

di DIO e alla Tradizione del Suo Messaggero. In una delle sue

proclamazioni conclusive, Muḥammad disse che non c’è obbedienza

o lealtà verso alcun essere umano, statista o altro, se

questi non è lui stesso obbediente a DIO e non è vincolato

dalla Sua Legge. I primi successori di Muḥammad compresero assai

chiaramente questo principio e dichiararono nei loro primi proclami

politici che essi dovevano essere obbediti e aiutati dal popolo

finchè rimanevano obbedienti a DIO, mentre non avrebbero piu avuto

alcun diritto all’obbedienza da parte del popolo qualora si fossero

laro stessi allontanati dalla Via di Dio.

6. Gli statisti e i capi politici devono essere selezionati

fra i cittadini meglio qualificati sulla base dei meriti della

virtù, dell’adeguatezza e della competenza. L’origine etnica, il

prestigio familiare, le condizioni economiche non rendono

più o meno qualificati per i pubblici uffici i potenziali candida-

ti. Tali fattori non aumentano nè diminuiscono i meriti dell’indi-

viduo. Ogni candidato deve essere giudicato per i suoi propri

meriti; prestigio famigliare, ricchezza, razza ed età non costi-

tuiscono, in quanto tali, elemento determinante.

I candidati possono essere riconosciuti dal popolo mediante

plebiscito oppure possono essere scelti e investiti dalle

guide del popolo, le quali sono riconosciute come guide dal

consenso universale dei vari settori della comunità. Così

uno Stato Islamico può avere consigli rappresentativi o go-

verni municipali finchè vuole. I1 diritto all’elezione o alla

selezione e il governo dello Stato sono sottoposti alla norma-

tiva della Legge di DIO e devono mirare al bene della comunità

intesa come realtà integrale. I1 Profeta Muḥammad disse-

“Chi affida a un uomo un pubblico ufficio quando nella comuni-

tà c’è un uomo migliore di quello, costui ha tradito la fi-

ducia di DIO, del Suo Messaggero e dei Musulmani”. In senso

politico, ciò significa che il popolo non può, moralmente

parlando, essere indifferente al fatti d’interesse pubblico

e che esso deve effettuare la sua scelta dopo accurata accerta-

mento e dopo profonda meditazione. In tal modo lo Stato può

esercitare la miglior salvaguardia della sicurezza comunitaria,

in maniera responsabile: cosa, questa, che non si verifica

negli Stati democratici contemporanei.

7. Dopo che il popolo ha espresso il suo parere attraverso

il plebiscito o mediante la selezione dei suoi uomini di

governo, ogni cittadino è tenuto a sorvegliare, coi mezzi che

ha a disposizione, il funzionamento del governo e a controllare

il modo in cui vengono trattati gli affari di pubblico interesse,

quando vede che c’è qualcosa di sbagliato. Se il governo tra-

disce la fiducia di DIO e il pubblico, allora non ha più nessun

diritto di continuare a svolgere il suo compito, Deve essere

esautorato e sostituito con un altro, ed è responsabilità di

ogni cittadino vedere che ciò sia fatto nell’interesse generale.

I1 metodo del potere ereditario o del governo a vita è perciò

inapplicabile in uno Stato Islamico.

8. Benchè lo statista sia riconosciuto e nominato dal popolo,

la sua prima responsabilità è di fronte a DIO; poi, di fronte

al popolo. La sua carica non e semplicemente decorativa

nè la sua funzione è astratta. Egli non è una marionetta che

abbia soltanto il ruolo di firmare pezzi di carta o di eseguire

invariabilmente la “volontà della nazione”, sia essa giusta o

sbagliata. Egli deve esercitare il potere per conto del popolo

e per il bene del popolo in conformità con la Legge di DIO, per-

chè le sua responsabilità è duplice. Da una parte egli è respon-

sabile a DIO della sua condotta e dall’altra è responsabile di-

nanzi al popolo, che ha riposto in lui la sua fiducia. Sarà

pienamente responsabile davanti a DIO del modo in cui avrà trat-

tato il popolo o i rappresentanti di esso. Ma governante e go-

vernati dovranno render pienamente conto a DIO del modo in cui

avranno trattato il Qur’an, del modo in cui avranno considerato

la Legge di DIO, che Egli ha data loro come forza vincolante.

E’ sulla base della responsabilità verso il popolo che il gover-

nante deve occuparsi delle questioni pubbliche, nell’interesse

comune, ed è sulla base della sua responsabilità verso DIO che

egli deve fare così, secondo la Legge di DIO. Quindi l’ordina-

mento politico del1’Islam è fondamentalmente diverso da tutti

gli altri sistemi e ideologie politiche note al genere umano,

e il governante non deve governare il popolo secondo i desideri

particolari del primo o del secondo. Egli deve servire il popolo

facendo della giustizia una legge comune, facendo della genuina

obbedienza al Signore Sovrano dell’universo una regolare funzione

dello Stato e facendo di un’etica sana ed integra un nobile com-

pito della direzione dello Stato.

9. Benchè il Qur’an sia la costituzione dello Stato Islamico,

i Musulmani hanno da DIO l’ordine di affrontare le loro questioni

comuni mediante metodi consultivi. Ciò dà spazio a consigli le-

gislativi e corpi consultivi sul piano locale, nazionale e inter-

nazionale. Ogni cittadino nello Stato Islamico ha il dovere di

dare il suo parere più saggio circa le questioni comuni e deve

avere il diritto di farlo. Per assicurare l’adempimento di que-

sto obbligo in modo pratico e vantaggioso, i governanti devono

ricercare il consiglio delle persone più istruite e fornite di

esperienza che vi siano nello Stato. Ma ciò non toglie assoluta-

mente il diritto di parola al cittadino medio,

che deve esprimere il suo parere quando si presenta l’occasione.

In tal modo ogni cittadino dello Stato Islamico ha un obbli-

go da adempiere ed è profondamente interessato, direttamente o

per altra via, nella condotta della cosa pubblica. La storia del-

1’Islam fornisce esempi autentici del modo in cui i capi e i ca-

liffi vennero interrogati, consigliati e corretti dalla gente

comune, uomini e donne. I1 principio della reciproca consulta-

zione è così fondamentale nell’Islam, che non solo bisogna ma-

nifestare la propria opinione, ma bisogna anche farlo nella ma-

niera più sincera ed efficace, per il bene della comunità. I me-

todi consultivi in politica o in qualunque altro campo non sono

una formula democratica di governo, ma un procedimento prescritto

dalla religione, un dovere morale dei governanti e dei governati.

Oltre alla sua pratica costante di questo principio, il Profeta

disse che è parte essenziale della religione il dare buoni con-

sigli. Lo scopo di tali consigli è di far sì che la Legge di DIO

venga osservata, che i diritti dei cittadini siano onorati e

i loro doveri vengano adempiuti. Per prevenire la nascita del

politicantismo professionale e contrattaccare i politicanti op-

portunisti, il Profeta, parlando dell’autorità di DIO, disse che

chiunque parla in forma di consiglio o in qualunque altra for-

ma deve dire cose buone e giuste; altrimenti è meglio che non

parli. Questo per mettere in guardia consiglieri e consulenti

contro le inclinazioni egoistiche e le tentazioni personalistiche.

Ciò serve a garantire che il consiglio sia dato con le intenzioni

più sincere e nel miglior interesse del popolo, perché il consi-

glio è autorizzato da DIO, formulato in Suo nome e diretto

al bene comune. La richiesta di consigli da parte del governante

e la sua emissione da parte dei governati non è un fatto di libera

scelta o una decisione volontaria. E’ un articolo di fede, un

dovere religioso. Muḥammad stesso, per quanto fosse sapiente,

“infallibile” e disinteressato, non era al di sopra della norma

nè costituiva eccezione alla regola. DIO lo istruisce cosi:

E’ per misericordia di DIO che li avete trattati con affabilità

(la vostra gente). Se foste stati duri di cuore o troppo severi,

essi si sarebbero allontanati da voi. Perdonate dunque i loro

sbagli e chiedete per loro l’indulgenza (di DIO); e consultateli

sulle questioni (di una certa importanza). Poi, quando avete presa

una decisione, riponete la vostra fiducia (in Lui) (3, 159).

Enumerando le caratteristiche dei fedeli, il Qur’an annovera

inequivocabilmente i1 mutuo consiglio fra gli articoli di fede. I

fedeli sono coloro che credono in DIO e ripongono la loro fede nel

loro Signore, evitano i peccati più grandi e le azioni vergognose

e perdonano anche quando sono adirati; sono coloro che ascoltano

il loro Signore, istituiscono l’orazione rituale, eseguono le loro

faccende consultandosi reciprocamente e spendono (in carità) una

parte di quanto abbiamo loro elargito come sostentamento; sono co-

loro i quali, quando viene loro inflitto un torto oppressivo, (non

si lasciano intimidire, ma) si danno da fare e si difendono (42,

36-39).

10. Nell’ordinamento politico dell’Islam, ogni cittadino ha il

diritto di godere della libertà di fede e di coscienza e della libertà

di pensiero e di espressione. E’ libero di sviluppare le sue pote-

zialità e di migliorare la propria condizione, di lavorare e di com-

petere, di guadagnare e possedere, di approvare e disapprovare le

cose, a seconda del proprio onesto discernimento. Ma la sua libertà

non è e non può essere assoluta, altrimenti produrrebbe

il caos e l’anarchia. Essa è garantita dalla Legge di DIO ed è go-

vernata dalla medesima Legge. Finchè è in linea con questa Legge,

la libertà e legittimo privilegio di ogni cittadino; ma se essa tra-

sgredisce i limiti della Legge o si scontra con l’interesse comune,

allora diventa una violazione della Legge di DIO e deve perciò essere

sottoposta a controllo. Il singolo è parte di tutto quanto l’universo,

per cui deve adeguarsi alla Legge e all’ordine di DIO, la Legge da

cui è amministrato l’intero universo. D’altra parte, egli è

membro della sua comunità e della sua nazione e deve perciò armonizzare

i suoi diritti e interessi con quelli degli altri in maniera recipro-

camente vantaggiosa. Se i1 singolo assume una posizione indipen-

dente per quanto concerne una questione di pubblico interesse e

si rende conto che tutti gli altri assumono un atteggiamento diverso

dal suo, allora è lui che alla fine dovrà schierarsi con gli altri,

per mantenere 1a solidarietà e la cooperazione, purchè la decisione

degli altri non sia contraria alla Legge di DIO. Tuttavia nel pro-

cesso di formazione dell’opinione popolare egli ha tutto il diritto

di esprimere il proprio parere e di persuadere gli altri delle sue

convinzioni, senza dar luogo a disordini e ad agitazioni. Quando

è evidente che gli altri hanno scelto una via diversa dalla sua,

egli è tenuto ad adeguarsi, perché non si tratta più di considerazioni

o di decisioni individuali, ma di una questione che riceve

una risposta massiccia (3, 102-105; 8, 46).

11. I1 governo dello Stato Islamico è un deposito fiduciario pub-

blico, che è affidato ai governanti dalla parola di DIO e,

in via subordinata, dal consenso comunitario del popolo. Essendo

DIO il Supremo Sovrano dello Stato, chi lo rappresenta nella carica

più elevata deve essere fedele all’Autorità che gli affida tale

carica, deve essere un credente in DIO. E se la gran parta della

popolazione è musulmana, chi assume la carica di presidente o di

califfo deve essere un autentico Musulmano. Queste misure sono

adottate allo scopo di servire i1 bene comune e di adempiere a tutti

i doveri dello Stato verso DIO e verso i cittadini. Esse sono pure

intese ad assicurare e ad onorare i diritti delle cosiddette minoranze

religiose o razziali.

E’ una disgrazia per l’umanità che questo sistema di governo

dell’lslam sia stato scarsamente compreso e malamente distorto.

La realtà è che questo tipo di governo non discrimina le

minoranze, ma anzi protegge e difende i loro diritti.

Chiunque voglia essere un cittadino dello Stato Islamico, un cittadino

rispettoso della sua legge, è benvenuto in tale Stato e condivide

con gli altri i doveri e le prerogative di una cittadinanza respon-

sabile. I1 fatto che egli sia un non Musulmano non umilia la sua

condizione nè lo fa’ retrocedere a1 rango di cittadino di seconda

classe, finchè egli obbedisce alla Legge dello Stato, che è valida

per tutti quanti, ed esercita i propri diritti in maniera responsa-

bile. Ad esempio, se vuole versare la tassa rituale (zakah) e altre

imposte di Stato, al pari degli altri cittadini musulmani, per far

fronte alle necessità dello Stato e per ricambiare la sicurezza e il

benessere che 1o Stato gli garantisce, può benissimo farlo. Ma se

pensa che versare la tassa islamica (zakah) sia umiliante per la sua

dignità o offensivo per i suoi sentimenti dato che egli non è un

Musulmano, allora può pagare le tasse in maniera diversa, in forma

di “tributi”, o gizyah; in tal modo egli gode di una libertà di

scelta che i Musulmani stessi non hanno. In cambio del suo contri-

buto alle esigenze dello Stato, egli ha pieno diritto a esser pro-

tetto e garantito dai funzionari dello Stato e dalla comunità.

Analogamente, se un tale cittadino vuole regolare la propria

vita personale (per quanto concerne matrimonio, divorzio, alimenta-

zione, eredità e così via) secondo la Legge Islamica, il suo desiderio

deve essere accolto e i suoi diritti debbono essere rispettati.

Ma se vuole regolare questi affari secondo il suo proprio punto di

vista religioso, è assolutamente libero di farlo e nessuno può impe-

dirgli di esercitare i suoi diritti sotto questo rispetto. Così,

nelle cose personali o sentimentali, può ricorrere agli insegnamenti

della sua religione o alle norme pubbliche. Per quanto invece con-

cerne i domìni di pubblico interesse e i rapporti con il

resto della popolazione, deve rimettersi alla Legge dello Stato, la

Legge di DIO. Indipendentemente dalla sua scelta, egli ha in ogni

caso il diritto di esser protetto e garantito, nè più nè meno degli

altri cittadini. Tutto ciò non è il sogno di un paradiso in terra

che deve ancora venire. E’ l’insegnamento del Qur’an, la prassi

di Muḥammad, la norma della storia islamica. Si rammenta ad esempio

che Omar ibn al-Khattab, il secondo Califfo dopo Muḥammad, passava

un giorno in un luogo nel quale trovò un vecchio giudeo in condizioni

pietose. Omar chiese notizie di quell’uomo e venne a sapere quanto

fosse miserabile la sua situazione. Disse quindi amaramente a quel

vecchio: “Noi abbiamo raccolto i tributi (le tasse) da te quando

eri abile a guadagnare. Adesso sei solo e abbandonato. Come è stato

ingiusto Omar con te!” Terminate le sue considerazioni, ordinò che

l’uomo ricevesse una regolare pensione e l’ordine divenne immediata-

mente esecutivo. Omar e altri governanti ricevettero l’istruzione

politica da Muḥammad in persona, il quale a sua volta era stato

istruito da DIO. Questi insegnamenti sono registrati nel Qur’an in

versettì come quelli seguenti:

DIO non vi proibisce, riguardo a coloro che non vi combattono

per la (vostra) Fede e non vi cacciano dalle vostre case, di trat-

tarli umanamente e secondo giustizia. DIO infatti ama coloro che sono

giusti. DIO vi pone dei divieti solo in rapporto a coloro che vi

combattono per la (vostra) Fede e vi cacciano dalle vostre case e

appoggiano altri nel cacciarvi: Egli vi proibisce di rivolgervi a

loro per averne amicizia e protezione. Quelli che si rivolgono

a loro per averne amicizia e protezione sono malfattori (60, 8-9).

Infine, è un errore categorico paragonare lo Stato Islamico

e la sua necessità di avere un capo musulmano con lo Stato

secolare, nel quale è teoricamente concepibile che vi sia un capo

di Stato appartenente a un gruppo minoritario. I1 paragone è

fallace e deviante per varie ragioni. Primo, esso presuppone che

il secolarismo, per quanto superficiale, sia migliore della dottrina

islamica. Una tale supposizione o premessa è pretestuosa. Secondo,

i doveri e i diritti di un capo di Stato sotto l’Islam sono del

tutto diversi da quelli delLa sua controparte nel regime secolare,

come è stato rilevato più sopra. Terzo, lo spirito secolare mo-

derno è qualcosa di totalmente estraneo all’Islam.

Inoltre, il capo di uno Stato secolare, “laico”, può appartenere

a una minoranza razziale, etnica, religiosa. Ma deve inevitabil-

mente appartenere a una fazione maggioritaria. Si ha così il

risultato pratico che una maggioranza politica sostituisce la mag-

gioranza religiosa, e ciò costituisce difficilmente un vantaggio

per le condizioni della minoranza, in quanto tale. Ancora: la tesi

secolare, nella sua integrità, presuppone che la guida dello Stato

sia un diritto o un privilegio che possa venir conferito o tolto

all’individuo. La posizione Islamica è radicalmente diversa. Nel-

1’Islam, la direzione dello Stato comporta innanzitutto e in primo

luogo degli obblighi, dei doveri, delle dure responsabilità. Sa-

rebbe quindi ingiusto che 1’Islam imponesse tali responsabilità

a persone non musulmane.

La vita internazionale

Nell’Islam la vita internazionale è data dal complesso delle

relazioni che intercorrono fra uno Stato o una nazione islamica e

altri Stati e nazioni. Come gli altri aspetti della vita islamica,

anche questo ha le sue radici nella guida divina e segue schemi

divini. Si basa sui fondamenti seguenti:

1. Fede incrollabile nell’unità del genere umano per quanto concerne

la sua origine, la condizione umana e gli obiettivi (Qur’an, 4, 1;

7, 189; 49, 13).

2. Dovuto rispetto per il bene degli altri popoli e i loro diritti alla vita, all’onore e alla proprietà, finchè essi non ostacolano i di-

ritti dei Musulmani. Questo perché l’usurpazione, la trasgressione

e l’iniquità di ogni tipo sono severamente proibite (2, 190-193; 42,

42).

3. La pace come stato normale dei rapporti, con scambio di missioni

di buona volontà e tentativi reciprocamente onesti per la causa del-

l’umanità, della quale tutti i popoli ugualmente partecipano (cfr,

più sopra e Qur’an, 8, 6l).

4. Non ammissibilità delle intromissioni e delle prevaricazioni nei

rapporti internazionali. Se qualcuno fosse tentato di violare i

diritti dello Stato Islamico o di turbarne la pace, di metterne in

pericolo la sicurezza, di sfruttarne la politica pacifica, lo Stato

deve correre subito ai ripari e sopprimere ogni tentativo di questo

genere Solo in tal caso, in tali circostanze, 1’Islam giustifica

la guerra. Ma anche in questo caso vi sono dei principi etici da

seguire, per limitarne al minimo gli effetti e protrarla solo finchè

è necessario. La legge sulla guerra e la pace nell’Islam è altamente

etica; è una legge organica, comprensiva ed equa. Meriterebbe uno

studio speciale sotto il profilo giuridico e sotto quello etico, cosa

che la nostra opera non può fare. Comunque bisogna notare che L’Islam

non giustifica la guerra d’aggressione nè ammette la distruzione

di raccolti, animali, case ecc., perché non ne fa degli obiettivi

bellici. Esso non ammette nemmeno l’uccisione di donne non combat-

tenti, di bambini e di vecchi, nè tollera la tortura dei prigionieri

di guerra o l’imposizione della propria dottrina agli sconfitti.

La guerra è per l’Islam soltanto una misura difensiva, giustificata

dai princìpi pratici dell’lslam finchè nel mondo esistono l’iniquità,

l’ingiustizia e l’aggressione (2, 190-195, 216-218; 22, 39-41; cfr.

anche, più oltre, la discussione sul Jihad).

5. L’adempimento degli obblighi contratti dallo Stato Islamico

e il rispetto dei trattati conclusi fra lo Stato Islamico e altri

Stati. Ciò è vincolante solo se le altre parti rimangono fedeli

ai loro obblighi e onorano i patti. Altrimenti, non possono esservi

validità di trattati o obblighi vincolanti (5,1; 8, 55-56, 58;

9, 3-4).

6. Mantenimento della pace e della sicurezza interna e genuino con-

tributo alla comprensione umana e alla fratellanza universale sul

piano internazionale.

Sono queste le fonti che ispirano la vita internazionale di

uno Stato Islamico. Lo stato Islamico non vive soltanto per sè

e per i suoi sudditi. Esso ha un vasto campo d’azione e un’importante

missione sul piano internazionale. Per ordine dell’Islam, esso

deve operare per la prosperità e il bene dei suoi cittadini in ogni

aspetto dell’esistenza; per ordine dell’Islam, esso deve dare validi

contributi all’umanità nel suo complesso. Ciò procura relazioni

amichevoli, nel più ampio significato del termine, con popoli e stati.

Lo Stato Islamico ha il dovere di svolgere una funzione vitale

per il bene dell’umanità, a livello internazionale, nell’istruzione

e nell’economia, nell’industria e nella politica e cosi via. Tale

funzione cominciò a essere svolta da Muḥammad stesso e i suoi suc-

cessori continuarono a svolgerla nel corso delle generazioni

successive.

Prima di concludere questo capitolo, dobbiamo rilevare che

tutto quanto è stato qui oggetto di discussione si basa sui più

autentici, genuini ed integri principi dell’Islam cosi come si

trovano enunciati nel Qur’an e nelle tradizioni di Muḥammad. Que-

sto è 1’Islam che Muḥammad e i suoi fedeli seguaci praticarono

ed esemplificarono nella maniera più eccellente. Non è 1’Islam

di questo o quel teologo, di questo o quel giurista o statista par-

ticolare. E’ invece, riteniamo, 1’Islam quale esso è in realtà

e quale deve essere.

Bisogna anche tenere presente che il sistema islamico di vita

è unico e differente da tutti gli altri sistemi e ideologie. Lo

si consideri da un punto di vista spirituale o etico, intellettuale

o culturale, politico o economico o da qualunque altro punto di

vista, si può facilmente vedere che è contraddistinto da specifiche

caratteristiche. A fini di illustrazione, si possono menzionare

alcuni esempi.

1. La fonte della dottrina islamica è diversa. Non è di origine

umana. Non è il prodotto di politicanti sovversivi nè di econo-

misti animati dal risentimento. E neppure è opera di moralisti

pragmatici o di industriali egoisti. E’ opera di DIO, è creazio-

ne dell’Uno Infinito, originata per il bene più elevato del genere

umano inteso come tutt’uno. Per sua natura esso è vincolante

ed è venerato da tutti i Fedeli. E’ intelligibile a ogni intelletto

sano, perché è esente da rompicapi enigmatici, da esclusivismi e da

prerogative riservate.

2. Anche gli scopi della dottrina islamica sono diversi. Essa non

tende al dominio mondiale o all’espansionismo fisico. Essa mira in-

vece a sottomettere il mondo alla Volontà di DIO e a circoscriverlo

entro i limiti della Legge di DIO. I1 suo scopo principale è di

compiacere DIO e coltivare l’uomo in maniera tale da aiutarlo a

obbedire alla Legge del Creatore e ad essere un fedele luogotenente

del Signore. Per raggiungere questo scopo, esso regola ogni aspet-

to dell’esistenza; il suo fine è di sviluppare nell’uomo una mente

limpida, uno spirito puro, una coscienza viva, un corpo sano, dei

sentimenti di generosità. Una persona con queste qualità non può

mancare di obbedire DIO e adottare la condotta più irreprensibile.

Quindi gli obiettivi della dottrina islamica sono lungi dall’essere

semplicemente umani o temporali.

3. La dottrina islamica ha tutti gli elementi e tutte le possibilità

che la rendono comprensiva e praticabile, moderata e flessibile.

La sua origine divina rivela solo i princìpi fondamentali e invio-

labili, lasciano il debito spazio all’intelligenza umana, perché

essa elabori i particolari e compia l’adattamento necessario.

In qualunque modo la si consideri, si può vedere che la dottrina

islamica è costituita di principi comprensivi, praticabili e frut-

tuosi. Sono comprensivi perché affrontano tutti i più importanti

aspetti della vita; praticabili perché sono stati messi in pratica

e tradotti in realtà in un tempo o in un altro; moderati perché

non favoriscono il capitalista o il proletario; non riguardano e-

sclusivamente il “mondo” o il dominio spirituale; non sono limitati

nè a questo mondo nè alla vita futura. Segnano il punto

Mediano fra gli estremi e costituiscono un orientamento

per una vita moderata e stabile. Al di là di questi prin-

cìpi, c’è un ampio margine di flessibilità per l’elaborazione

di particolari adatti a regioni e tempi differenti. Questa

flessibilità è una realtà di fatto, una necessità, perché la

dottrina è opera di DIO e in essa, come in tutte le Sue opere,

c,è ampio spazio per la mente umana e le prove umane.

CAPITOLO V

DISTORSIONI DELL’ISLAM

Questo capitolo si prefigge di trattare certi aspetti del-

1’Islam che sono stati trascurati da alcuni Musulmani e sono

stati distorti da praticamente tutti gli altri. Faremo qui uno

sforzo per presentare tali aspetti nella loro vera luce e nel

loro contesto genuino. Così facendo, non cercheremo di compiere

nessuna apologia, perché 1’Islam non ha bisogno di apologie. Nè

vi è da parte nostra alcuna intenzione di tranquillizzare, di con-

dannare o di lusingare chicchessia, perché 1’Islam non tollera un

comportamento del genere, ma prescrive un retto pensare e un retto

operare. Lo scopo, perciò, è semplicemente di far emergere la ve-

rità in ordine a tali aspetti, di presentarla cosi com’è alla mente

del non musulmano e far sì che ciascuno veda e giudichi da solo,

da essere razionale intelligente e responsabile.

I Musulmani che vivono nel mondo occidentale o hanno familiari-

tà con la letteratura occidentale si trovano spesso di fronte a

questioni sorprendenti e a considerazioni stupefacenti, fatte da

alcuni occidentali. Le questioni della “Guerra Santa”, “dell’Islam

nemico di Gesù”, della “poligamia”, del “ripudio”, della “condizione

femminile nell’Islam” e così via sono le più frequenti. E’ per

rendere un servizio alla verità e per la causa delle persone oneste

che si trovano fra gl’innocenti e disinformati autori di queste o-

biezioni, che cerchiamo qui di esaminare brevemente tali questioni.

1. La Guerra Santa (Jihad

L’Islam è stato diffuso con la punta della spada? I1 sim-

bolo dell’Islam è stato davvero “il Qur’an o la spada”? I Musul-

mani sono stati degli imperialisti, protesi alla potenza mondana o

al bottino? Alcuni sembrano nutrire su di ciò un’opinione afferma-

tiva; altri sembrano avere un parere negativo, mentre altri ancora

sono indecisi, perplessi e riluttanti. Ma il Qur’an da che parte

sta? Che cosa ci è rivelato, riguardo a ciò, dalla storia di Muḥammad?

0gni persona onesta che abbia rispetto per la verità e la dignità

umana ha l’obbligo morale di informarsi e di rivelare agli altri i

risultati della propria ricerca.

Il Qur’an dichiara che, lo si voglia oppure no, la guerra è una

necessità dell’esistenza, un dato di fatto della vita, finchè esiste-

ranno nel mondo l’ingiustizia, l’oppressione, le ambizioni capriccio-

se, le rivendicazioni arbitrarie. Ciò può suonare strano. Ma non

è forse un dato di fatto storico che l’umanità, dalla prima alba della

sua esistenza fino ad oggi, ha sofferto di conflitti locali, civili

e mondiali? E’ non è forse un dato di fatto che, piuttosto spesso,

gli alleati vittoriosi risolvono con guerre e minacce di guerra le

controversie che insorgono circa i loro guadagni e circa le condi-

zioni da imporre ai nemici sconfitti? Ancora oggi l’umanità vive

nel timore costante di una guerra e assiste a molte guerre locali

nei cosiddetti “punti caldi” del globo. Poteva DIO trascurare

queste realtà dell’esistenza? Poteva il Qur’an evitare di trattare

l’argomento in maniera realistica ed efficace? Certamente no!

e questo perché 1’Islam ha riconosciuto la guerra come un atto

lecito e giusto per l’autodifesa e la restaurazione della giusti-

zia, della libertà e della pace. I1 Qur’an dice:

Vi è prescritto il combattimento, ed esso è a voi sgradito.

Ma è possibile che vi sia sgradita una cosa che è buona per voi

e che voi invece amiate una cosa che per voi è cattiva. Dio sa,

e voi non sapete (2, 216).

E se Dio non avesse messo alla prova un gruppo di uomini per

mezzo di un altro gruppo, 1a terra sarebbe colma di sovversione:

ma DIO è colmo di misericordia per tutti i mondi (2, 251).

E se DIO non avesse messo alla prova un gruppo di persone per mezzo

di un altro gruppo, sarebbero stati certamente abbattuti monasteri

e chiese e sinagoghe e moschee, dove il none di DIO è menzionato

in abbondante misura (22, 40).

Per quanto realistico nel suo modo di affrontare la questione,

1’Islan non tollera mai l’aggressione, nè da parte propria nè da

parte di altri, nè combatte guerre d’aggressione, nè dà inizio ad

aggressioni militari. I Musulmani hanno ricevuto da DIO l’ordine di

non dare inizio alle ostilità, di non compiere nessun atto di ag-

gressione, di non violare i diritti degli altri. In aggiunta a

quanto è stato già detto nel capitolo precedente vi sono alcuni

versetti del Qur’an che hanno un peso significativo. Dice DIO:

Combattete nella causa di DIO coloro che vi combattono e non

trasgredite i limiti (non date inizio voi alle ostilità), perché

Dio non ama i trasgressori. Uccideteli dovunque li coglierete

e cacciateli da dove essi hanno cacciato voi, perché la sovversione

e l’oppressione sono peggio della strage; però non combatteteli

presso la Moschea Sacra, a meno che non siano loro a combattervi

(per primi) in quel luogo; ma se essi vi combattono, uccideteli.

Tale è la ricompensa per coloro che opprimono la Fede. Se però

desistono, DIO è indulgente, Misericordiosissimo. E continuate

a combatterli finchè non vi siano più persecuzione ed oppressione

e prevalgano la giustizia e la fede in DIO; ma se essi desistono,

allora non vi sia più ostilità, se non per quelli che praticano

l’oppressione (2, 190-193).

La guerra non è un obiettivo dell’Islam ne è la guerra la con-

dizione normale di vita per i Musulmani. E’ solo l’extrema ratio

e viene usata nelle circostanze più straordinarie, allorchè tutte

le altre misure sono inutili. Questo è il vero statuto della guerra

in Islam. L’Islam è la religione della pace: il significato di

Is1am è “pace”; uno dei nomi di DIO è “Pace”; il saluto quotidiano

dei Musulmani e degli angeli è “Pace”; il Paradiso è la Casa della

Pace; l’aggettivo muslim significa “pacifico”. Pace e la natura

dell’Islam; pace è il suo significato, il suo motto, il suo scopo.

Ogni essere ha il diritto di godere la pace dell’Islam e la cortesia

dei pacifici Musulmani, indipendentemente dalle considerazioni

religiose, geografiche o razziali, finchè non vi siano aggressioni

contro 1’Islam o i Musulmani. Se i non musulmani sono pacifici

coi Musulmani o quanto meno sono indifferenti verso 1’Islam,

non c’è nessun motivo e nessuna ragione per dichiarar loro

guerra. Non esiste niente che somigli a una guerra di reli-

gione per imporre 1’Islam ai non Musulmani, perché, se non emerge

da convinzioni radicate, dall’intimo dell’essere, l’Islam non

è accetto a DIO, nè può recare alcun beneficio a chi lo pro-

fessa. Se esiste una religione o un ordinamento che garantisce

una pacifica libertà di religione e proibisce la costrizione nel

dominio religioso, questa religione è 1’Islam e solo l’Islam.

Su questo punto il Qur’an si pronuncia nel modo seguente:

Non vi sia costrizione nella religione: la Verità si di-

stingue dall’errore in tutta la sua chiarezza. Chiunque re-

spinga il male e creda in DIO ha afferrato l’appiglio più si-

curo, che non si spezza. E DIO ode e sa tutto, (2, 256).

Anche nella diffusione dell’Islam il Musulmano non solo

ha il divieto di usare la forza, ma ha pure l’obbligo di usare

i metodi più pacifici. DIO dice a Muḥammad:

Invita (tutti) sulla Via del tuo Signore con saggezza

e belle parole; e discuti con loro nel modo migliore e più

affabile, chè il tuo Signore sa meglio di chiunque chi si è

allontanato dal Suo sentiero e chi riceve l’orientamento (16, 125).

E non discutere con la Gente del Libro (giudei e cristiani)

se non con metodi migliori (della mera discussione), a meno che

non si tratti di quelli di loro che vi infliggono torti (e offese).

Ma di: Noi crediamo nella Rivelazione che è discesa a noi e

in quella che discese a voi; il nostro DIO e vostro DIO è

Uno; ed è a Lui che noi ci inchiniamo (nell’Islam) (29, 46).

Ora, se 1’Islam è così proteso verso la pace e se i Mu-

sulmani sono cosi dediti alla pace e se il Qur’an è favorevole

alla pace, perché allora Muḥammad dichiarò delle guerre e

diresse dei combattimenti? Perchè il Qur’an dice “uccideteli”

e “combatteteli” ? Per esaminare questo problema, apparente-

mente innocente, è indispensabile menzionare alcuni fatti sto-

rici che accompagnarono e anticiparono le guerre musulmane contro

gli infedeli.

Dopo aver ricevuto la Missione da DIO, Muḥammad indisse

un pubblico convegno e parlò all’assemblea di ciò che egli aveva

ricevuto, esortandoli a rinunciare alla loro idolatria e a cre-

dere nell’Unico Vero DIO. Il suo primo appello, pacifico e

fondato sulle argomentazioni logiche, incontrò non solo opposi-

zione, ma anche derisione, scherno, dileggio. Egli cercò conti-

nuamente di far partecipe la sua gente di quell’appello bene-

detto, ma ebbe scarso successo. Non essendo lasciato libero

di diffondere apertamente 1’Islam, dovette ricorrere alla pre-

dicazione privata per alcuni anni, al fine di salvare la vita

dei suoi pochi seguaci e di mitigare le loro difficoltà. Quando

da parte di DIO gli giunse l’istruzione di predicare apertamente,

le persecuzioni e i tormenti aumentarono e vennero brutalmente

inflitti ai Musulmani. Ma più le persecuzioni aumentavano,

e più aumentava il numero dei Musulmani. Gli infedeli tentarono

di ridurre al silenzio l’appello di DIO con ogni genere di

pressioni e di lusinghe. Ma più si facevano frequenti questi ten-

tativi, più Muḥammad e i Musulmani diventavano saldi. Quando gli

infedeli si resero conto che non potevano far vacillare la fede

dei Credenti con le loro minacce, pressioni, espropriazioni, deri-

sioni ecc., organizzarono un feroce boicottaggio, una dura campagna

di ostracismo contro i Musulmani. Per alcuni anni i Musulmani fu-

rono costretti a restare entro una cerchia associativa molto limita-

ta, impossibilitati a predicare, a comprare, a vendere, a contrarre

matrimonio e a mantenere contatti coi loro concittadini della Mecca.

Ma nemmeno ciò valse a far vacillare 1a fede dei Musulmani. Il boi-

cottaggio continuò finchè gl’infedeli non si stancarono di praticarlo

e lo revocarono.

La fine del boicottaggio non significò, da parte degli infedeli,

nè pace nè distensione. Al contrario, le pressioni e

le persecuzioni continuarono con un rapido incremento, ma fu tutto

inutile. Alla fine, gli infedeli tennero un congresso a porte chiuse

par discutere sul da farsi allo scopo di eliminare 1’Islam e liberarsi

di Muḥammad una volta per tutte. Fu adottata una risoluzione unani-

me secondo la quale si doveva scegliere un uomo forte da ogni tribu

e uccidere Muḥammad nel suo letto. Ma la missione di Muḥammad non

era destinata a finire in quel modo. Così DIO gli suggerì di lasciare

la Mecca, la sua cara città natale, e di emigrare a Medina per ricon-

giungersi coi Musulmani originari di questa seconda città e con quelli

che prima di lui avevano abbandonato la Mecca per emigrare a Medina

(cfr· Qur’an, 8, 30; 9, 40). Questo fu il grande evento dell’Egira

Hijrah) o Emigrazione, con cui ha inizio la storia dell’Islam e da

cui ha inizio il calendario musulmano.

Abbandonando la Mecca, i Musulmani furono costretti da una se-

rie di circostanze a lasciare dietro di se tutte le loro proprietà

e anche le loro famiglie. Appena si stabilirono a Medina, Muḥammad

riprese la sua pacifica predicazione e i suoi affabili inviti

all’Islam. Alcuni cittadini originari di Medina risposero favore-

volmente all’Appello di DIO e diventarono immediatamente membri di

pieno diritto della comunità musulmana. Altri non abbracciarono l’I-

slam, ma conservarono le loro convinzioni tradizionali. E siccome

era amante della pace, Muḥammad concluse dei trattati coi non mu-

sulmani, garantendo loro libertà e sicurezza e creando nella loro

anima, per la prima volta, una coscienza nazionale e sociale in

luogo di una ristretta coscienza tribale.

Mentre Muḥammad era occupato in questa azione, cercando di orga-

nizzare la comunità musulmana a Medina e di gettare le basi di una

società stabile e pacifica nella quale Musulmani e non musulmani

vivessero fianco a fianco, i suoi avversari della Mecca non davano

tregua. I1 loro odio verso i Musulmani era intenso e la loro deter-

minazione a eliminare 1’Islam diventava ogni giorno più forte.

Sottoposero a revisione la loro tattica e, appena ebbero perfezionato

il loro piano, cominciarono a tradurlo in pratica. Decisero di

creare confusione contro i Musulmani, dall’esterno e dall’interno.

Furono organizzate delle incursioni militari contro Medina,

che attaccavano e depredavano e poi facevano ritorno

alla Mecca con tutta la preda che vi potevano trasportare.

I non musulmani di Medina diventavano sempre più

invidiosi della popolarità dell’Islam e del nuovo spirito di

fraternità che regnava fra i Musulmani: una realtà che loro, in-

vece, non avevano mai sperimentata e che avrebbero voluto speri-

mentare. Così gli avversari meccani si affrettarono a sfruttare

la situazione e ad attizzare disordini contro i Musulmani. La

risposta degli invidiosi non musulmani di Medina all’istigazione

dei meccani fu sollecita e manifesta, sicchè in tutta Medina

si ebbero gravi disordini.

Ora i Musulmani erano costantemente minacciati: all’interno,

dai non musulmani di Medina, all’esterno, dalle incursioni orga-

nizzate dai meccani. Arrivarono a al punto in cui non poterono

piu tollerare persecuzioni e minacce. Erano stati costretti

a separarsi dalle loro famiglie. Si erano visti confiscare le

proprietà. Avevano sparso il loro sangue. Erano stati

costretti a lasciare la loro città natale in tre ondate migratorie:

due in Abissinia e una a Medina. Avevano sopportato per tredici anni.

Di fronte alla nuova tattica dei nemici meccani non c’era più via di scampo per i Musulmani: potevano solo attendere la loro eliminazione definitiva

in un Massacro generale oppure di difendersi contro l’oppressione e

la persecuzione.

Potrà esser sembrato un paradosso. L’Islam era venuto per

garantir loro dignità e potenza, libertà e sicurezza; era venuto

per renderli alleati di DIO, Suprema Fonte del bene e del potere,

del soccorso e della pace. Ora invece si trovavano privi di soc-

corso e preda dell’ansia, minacciati e terrorizzati. L’Islam

aveva loro prescritto di instaurare la pace, di comandare ciò che

è giusto e di proibire ciò che è ingiusto, di appoggiare gli

oppressi e di liberare i soggiogati, di dimostrare come DIO sia

dispensatore di soccorso per i Suoi servi. Ma come potevano

farlo, se loro stessi erano oppressi, soggiogati e privi di ogni

soccorso?

Ciò che soprattutto li lasciò perplessi, fu che il Qur’an

non aveva parlato di questa situazione e non aveva dato

loro specifiche istruzioni su1 da farsi. La loro perplessità non

durò a lungo e DIO alleviò la loro ansia con una divina risoluzione

che doveva porre un termine ai loro problemi e a quelli di

chiunque si potesse trovare in condizioni analoghe. Ecco come

DIO formulò tale risoluzione:

In verità DIO difenderà coloro che credono: DIO certo non

ama chi è traditore della Fede o si mostra ingrato. A coloro contro

i quali viene fatta guerra è dato il permesso (di combattere),

perché sono oggetto di ingiustizia; e certamente DIO è il più

Potente per aiutarli; (essi sono) coloro che furono espulsi dalle

loro dimore in dispregio del diritto, (per nessun motivo) se non

perché dicono “I1 nostro Signore è DIO”. Se Dio non avesse messo

alla prova un gruppo di uomini per mezzo di un altro gruppo

sarebbero stati certamente abbattuti monasteri e chiese, sina-

goghe e moschee, dove il nome di DIO viene menzionato in abbon-

dante misura. DIO certamente aiuterà coloro che aiutano la Sua

(causa); chè davvero DIO è pieno di forza, Eminente nel

potere, (capace di mandare in vigore la Sua Volontà). Sono quelli

che, se Noi li installiamo sulla terra, istituiscono l’orazione

rituale e versano ritualmente la decima, prescrivono ciò ch’è giu-

sto e proibiscono ciò ch’è sbagliato, Con DIO sta la fine (e la

decisione) di tutte le questioni (22, 38-41).

Con questo permesso da parte di DIO non vi fu più persecuzione

e oppressione a danno dei Musulmani. Vi fu, da parte di questi,

una perseveranza intesa al recupero della tranquillità, al

recupero della pace e della libertà, al ricongiungimento con le

loro famiglie e al recupero delle loro proprietà. Vi furono bat-

taglie e guerre contro i malvagi infedeli, che negavano apertamente

ai Musulmani la pace e la libertà. Ma non vi fu mai nessuna aggres-

sione da parte musulmana, nè alcuna distruzione di case, raccolti,

vettovaglie ecc., nè uccisione di bambini, donne, vecchi, inabili,

civili non combattenti in genere. I Musulmani osservarono queste

norme e rimasero entro i limiti di DIO. Fu una cosa che non si era

mai verificata in precedenza, nè fu mai più vista in seguito. Fu

in tali circostanze che i Musulmani dovettero combattere, e fu gra-

zie a questi princìpi e istruzioni divine che alla fine conseguirono

vittorie decisive.

E’ stato detto e scritto moltissimo circa i “rozzi” Musulmani

che uscivano dagli infuocati e assetati deserti della sconosciuta

Arabia per conquistare i protettorati bizantini e persiani e anche

per avventurarsi intorno alle fortificazioni dell’Europa occidentale.

Molti hanno espresso l’opinione secondo cui quei Musulmani erano

spinti da zelo religioso e volevano diffondere 1’Islam con la forza

fin dove potevano giungere. Molti altri ritengono che tale opinione

sia stupida e ingenua, perché 1’Islam, per sua natura, non può essere

imposto con la forza; e anche se fosse stato eventualmente imposto

con la forza ai popoli sottomessi, non sarebbe durato a lungo, sicchè

i non musulmani lo avrebbero eliminato dalle regioni conquistate.

La storia invece dimostra che l’islam è sopravissuto dovunque è

arrivato, eccezion fatta per la Spagna, per determinate ragioni, e

che i conquistatori musulmani vissero fianco a fianco coi nativi

non musulmani in tutte le regioni in cui posero piede. Inoltre,

si può obiettare, non è possibile imporre una religione come 1’I-

slam a chiunque e trovare poi tutti quanti sinceri e onesti

nella religione, come fu invece il caso dei neofiti musulmani delle

regioni inglobate dall’Islam. E’ necessario ben più della costrizione

per trasformare in cosi buoni Musulmani i membri di un popolo sconfitto;

ci vuole ben a1tro che non la repressione, per renderli saldi nella

religione “imposta” e fargliela amare.

Un altro orientamento contraddistingue il pensiero di alcuni

che amano definirsi intellettuali o critici illuminati e pretendono

di essere delle autorità. Costoro non si accontentano dell’opinio-

ne ingenua e rozza secondo cui l’Islam si è diffuso con la violenza.

Essi attribuiscono l’espansione dell’Islam alle guerre aggressive

scatenate dai Musulmani, che soffocavano nel caldo e nell’arsura

dell’Arabia ed erano semplicemente sollecitati da necessità e cir-

costanze economiche. Quelle guerre e quelle avventure non erano

di marca religiosa o spirituale, ma erano semplicemente l’effetto

di esigenze pressanti. Ciò può essere indizio del fatto che gli

Arabi non si erano elevati a un così alto livello di sacrificio e

devozione o che dopo la morte di Muḥammad i suoi successori avevano

perso interesse nella religione e se ne erano serviti per soddisfare

i loro bisogni immediati. Ciò può inoltre essere indizio del fatto

che 1’Islam è incapace, di per se, di generare fervore e zelo in

quei guerrieri arabi musulmani. Le deduzioni da

trarre sono molteplici e gli “intellettuali” di questa tendenza

sono incerti circa la preferenza da attribuire all’una o all’altra

soluzione.

C’è poi un altro orientamento, adottato da alcuni i quali

attribuiscono le guerre musulmane fuori dall’Arabia a un gusto

appassionato per il saccheggio e le incursioni a cavallo. Co-

storo non sanno vedere alcun’altra motivazione nè sanno apprez-

zare alcuna sollecitazione nei Musulmani, se non la sete di sangue

e il desiderio della preda. Essi rifiutano di vedere nell’Islam

alcuna virtù e rifiutano di attribuire ai Musulmani motivazioni

elevate.

La discussione fra i seguaci di queste tendenze è molto seria

e talvolta assume la forma di disputa accademica. Sia come sia,

la realtà è che nessuno di questi critici ha mai fatto un serio

tentativo di comprendere l’intera questione e presentare la verità

in maniera onesta. Nessuno di loro ha avuto la lucidità necessaria

e il coraggio morale per presentare la vera versione del fenomeno.

Come sarà pesante il loro fardello quando scopriranno, un bel gior-

no, che hanno fatto deviare, con le loro informazioni sbagliate,

milioni di persone! Come sarà tremenda la loro responsabilità

quando sapranno di aver commesso gravissime offese contro la verità,

contro i Musulmani e contro i loro stessi seguaci!

Sarà impossibile presentare qui, nei suoi aspetti particolari,

il punto di vista dell’Islam circa ogni guerra o battaglia. Comun-

que, vi sono certi punti fermi che, una volta stabiliti, daranno

un’idea corretta di tutta quanta la questione.

1. Bisogna ricordare che Muḥammad, che fu inviato da DIO come una

misericordia per tutta l’umanità, cercò di avvicinare i governanti

dei territori circostanti, esortandoli ad abbracciare 1’Islam e ad

aver parte della misericordia di DIO. Bisognerebbe pure rammentare

che essi non solo respinsero le sue cortesi esortazioni, ma per di

più lo derisero e dichiararono guerra aperta contro i Musulmani.

Nel periodo della sua vita, i soldati bizantini e persiani attraver-

sarono le frontiere musulmane in vari attacchi. Così, al momento

della sua morte, i Musulmani si trovavano involontariamente in guerra

con i loro vicini.

Quello stato di cose continuò e tutto quel che avvenne

piu tardi, nel corso delle generazioni successive, deve es-

ser visto nel contesto di quei primi avvenimenti. Ciò signi-

ficava a quel tempo che tutta la cristianità, compresa la Spa-

gna e la Francia, era in guerra contro il mondo emergente dell’I-

alam. L’avventura dei Musulmani in Europa deve essere considerata

anche alla luce di tali circostanze. I1 fatto che tutta la cri-

stianità operava come una sola potenza è dimostrato dall’autorità

di cui godeva, in sommo grado, il papato romano sopra i cristiani.

E’ anche provato dalla mobilitazione generale delle potenze cri-

stiane contro 1’Islam durante il periodo delle Crociate del Medio

Evo e anche nel primo quarto di questo xx secolo.

Così, quando Roma sanzionò la guerra contro 1’Islam, ai

Musulmani non si poteva negare il pieno diritto di rispondere

con le armi sui campi di battaglia: in Palestina o nella zona

della Mezzaluna Fertile, in Italia o in Ungheria. E’ questo

che avvenne in Spagna a nella Francia meridionale. I Musulmani

non potevano accettare di venire accerchiati tutt’intorno dalle

potenze bizantina e persiana. Nè potevano star fermi ad aspet-

tare che li si spazzasse via dalla faccia della terra. Da Bi-

sanzio fu emanato l’ordine di uccidere Muḥammad o di recarne

in omaggio la testa alla Corte reale: la stessa cosa che i Ro-

mani pagani avevano fatto coi primi diffusori del cristianesimo.

Comunque, bisogna ammettere che alcune guerre dei secoli succes-

sivi non ebbero alcun rapporto con 1’Islam, per quanto

fossero combattute da Musulmani. Non furono guerre combattute

per la diffusione dall’Islam. Furono invece motivate da ragioni

locali e, forse, personali. L’aggressione è aggressione, proven-

ga da parte musulmana o sia diretta contro i Musulmani, e la

posizione islamica verso l’aggressione è nota e immu-

tabile. Così, se vi fu aggressione in quelle guerre successive,

essa non può essere giustificata dall’Islam nè può essere accetta

a DIO.

2. Nessuno dei suddetti critici cerca di comprendere la natura

e le circostanze di quei primi secoli. La comunicazione di mas-

sa allora non esisteva. Non c’erano ne stampa nè radio nè tele-

visione e neppure un regolare servizio postale. Non c’era ri-

spetto per la vita, per la proprietà, per l’onore, per i diritti

degli individui e delle nazioni deboli. Non c’era sicurezza nè

libertà di espressione. Chiunque difendesse una nobile causa

o bandisse idee impopolari veniva minacciato. Ciò risulta eviden-

te dalla storia del filosofo greco Socrate, dalla storia dei

primi cristiani, da quella dei primi Musulmani. Molti messaggeri

incaricati di consegnare speciali messaggi ai capi di Stato e ai

governatori non ritornarono vivi. Furono uccisi a sangue freddo

o catturati dai loro stessi soldati.

I Musulmani dell’Arabia dovettero far fronte a tutte

queste difficoltà e dovettero agire in tali circostanze.

Essi avevano un messaggio da consegnare al ge-

nere umano, un contributo da dare all’umanità, una formula

di salvezza da offrire. I1 Qur’an dice: Esortate alla Via

di DIO con saggezza e bel parlare e argomentate nella maniera

più cortese. Ma chi era preparato ad ascoltare il pacifico

Appello di DIO? E’ un dato di fatto che molti infedeli erano

soliti evitar di ascoltare il Profeta, per non essere persuasi

dalla sua predicazione pacifica. Essi resistevano anche con

la farfa al pacifico Appello dell’Islam. La prima esperienza

dell’Arabia insegnò ai Musulmani che è più efficace assere

pacifici e contemporaneamente stare in guardia; che ci si

può muovere pacificamente solo se si è abbastanza forti per garan-

tire la propria pace; che una voce pacifica manda un’eco più

bella quando si è in grado di resistere alle pressioni e di

eliminare l’oppressione.

Ora essi dovevano, per ordine di DIO, render noto 1’Islam

al mondo esterno, ma non c’era nè sistema di telecomunicazioni

nè stampa nè alcun altro mezzo di comunicazione di massa. C’era

una sola via da percorrere: quella dei contatti personali o

diretti, e ciò significava che i Musulmani dovevano passare le

frontiere. Ma essi non potevano fare ciò in gruppi piccoli o

disarmati. Quindi si dovettero muovere a grandi gruppi, armati,

i quali dovevano necessariamente sembrare un eser-

cito, mentre non si trattava di un esercito vero e proprio.

Essi attraversavano i confini in varie direzioni e in diversi

periodi. Ciò che avvenne allora merita di essere considerato.

In alcune regioni venivano accolti calorosamente dagli abitanti,

che erano stati oppressi per lungo tempo, soggiogati dalle poten-

ze straniere di Bisanzio e della Persia. In altre regioni essi

dovettero offrire l’Islam a uomini che erano preparati

ad accoglierlo, ed erano molti. A quelli che non accoglievano

1’Islam si richiedeva di versare dei tributi equivalenti alla

tassa islamica (zakah). Le ragioni per cui veniva richiesta

questa tassa erano: 1) che volevano esser certi che il contribuente

sapesse quello che faceva e che l’Islam gli era stato offerto,

ma lui lo aveva respinto di sua spontanea volontà e per sua libera

scelta; 2) che assumevano la protezione del contribuente e ne

garantivano sicurezza e libertà in misura uguale a quella del

Musulmano stesso, perché ogni rischio corso dal contribuente non

musulmano era un pericolo per il compatriota musulmano, sicchè,

per difendere il Musulmano, dovevano difendere anche il non musul-

mano e garantirne la sicurezza; 3) che il nuovo stato di cose

esigeva l’appoggio e la cooperazione di tutti i settori, Musul-

mani e non musulmani: i primi cooperavano mediante la zakah,

i secondi mediante i tributi, che venivano parimenti spesi nel-

l’interesse comune; 4) che volevano esser certi che il contri-

buente non musulmano non fosse ostile a loro e ai loro

nuovi fratelli o che non fosse proclive a creare fastidi ai

suoi compatrioti musulmani.

Coloro i quali respingevano 1’Islam o rifiutavano di pagare

i tributi in collaborazione con gli altri settori per soste-

nere l’economia del loro Stato si mettevano in una condizione dif-

ficile. Essi ricorrevano a un comportamento ostile fin dall’inizio

e intendevano creare confusione, non tanto per i Musulmani soprag-

giunti da poco, quanto per i Musulmani neofiti loro compatrioti,

quelli che versavano l’imposta. Da un punto di vista nazionale,

il loro comportamento era da traditori; da un punto di vista umano,

mediocre; da un punto di vista sociale, negligente; da un punto

di vista militare, provocatorio. Agli effetti pratici, essa ri-

chiedeva di essere represso, non tanto per la tranquillità dei Mu-

sulmani sopraggiunti dall’esterno, quanto per la causa dello Stato

in cui vivevano questi veri e propri traditori. Fu questa la sola

circostanza in cui venne usata la forza per ridurre alla ragione

individui del genere o metterli dinanzi alle loro responsabilità:

o come Musulmani che accoglievano liberamente 1’Islam o come leali

cittadini che versavano i1 tributo e potevano

quindi vivere coi loro compatrioti musulmani dividendo con loro

diritti e doveri.

3. Sarebbe una cosa saggia se questi critici studiassero il Qur’an

con intenzione onesta per vedere che cosa esso prescrive circa la

guerra e la pace. Ancor più saggio sarebbe, da parte loro, indagare

la condizione dei popoli “conquistati”, la condizione in cui vive-

vano prima e dopo il loro contatto con 1’Islam. Che cosa diranno,

se troveranno che i sudditi dei protettorati persiani e bizantini

inviavano pressanti appelli ai Musulmani, affinchè venissero a li-

berarli dall’oppressivo governo straniero? Che cosa penseranno,

se capiterà loro di scoprire che i “conquistatori” musulmani erano

accolti con gioia sia dalla gente comune sia dai patriarchi reli-

giosi, che desideravano la protezione musulmana e la giustizia mu-

sulmana nell’amministrazione? Come potrebbero spiegare il fenomeno

per cui alcuni dei popoli “conquistati” non solo accoglievano a

braccia aperte gli “invasori” musulmani, ma anche combattevano al

loro fianco contro gli oppressori? Come potrebbero spiegare la pro-

sperità, la libertà e lo sviluppo rigoglioso delle regioni “invase”

sotto 1’Islam, in confronto con quanto c’era stato precedentemente

nelle medesime regioni?

Non stiamo discutendo un particolare punto di vista sull’argo-

mento nè stiamo traendo conclusioni affrettate. Crediamo semplice-

mente che la questione merita di essere nuovamente considerata e

merita d’essere oggetto di serie indagini. I risultati saranno certa-

mente interessanti e significativi. Forse la mentalità occidentale

può comprendere meglio, se tutta la questione viene considerata alla

luce delle condizioni che prevalgono nel mondo odierno. I1 profondo

interesse degli alleati occidentali per Berlino, gli appelli degli

oppressi dappertutto, l’angoscia dei Sudcoreani, i timori dei Laotia-

ni, gli affari della NATO, quelli della SEATO, l’instabilità dei sa-

telliti comunisti: tutto ciò può aiutare la mentalità occidentale

a capire gli eventi di quei secoli remoti e la politica dei Musulmani

di quei giorni.

4. L’idea che le guerre musulmane nel mondo esterno furono

motivate dalle esigenze economiche degli Arabi è anch’essa de-

gna di considerazione. Benchè apparentemente sicuri delle loro

affermazioni, i sostenitori di una tale opinione non hanno stu-

diato il caso in maniera seria. Pensano essi onestamente che

le necessità economiche furono i motivi che spinsero i Musulmani

ad attraversare i confini arabi? Su quale base essi affermano

che 1’Arabia -coi suoi antichi centri di affari, le sue valli

e le sue oasi- non era piu in grado di produrre a sufficienza

per i Musulmani? Hanno mai svolto un’indagine seria per stabilire

quale fu la parte che gli “invasori” musulmani tennero per sè e

quale fu invece quella che distribuirono alla gente nel corso del

loro governo e quale, infine, fu la parte che mandarono all’ammi-

nistrazione centrale di Medina, di Damasco, di Baghdad o del Cairo?

Hanno confrontato i redditi provenienti dai territori “invasi”

prima e dopo 1’Islam e hanno stabilito se gli “invasori” erano

dei semplici avventurieri, interessati unicamente ad affari egoi-

stici? Hanno qualche ragione di credere che quei Musulmani

presero per sè più di quanto non diedero, o che prelevarono più

di quanto non depositarono, o che consumarono più di quanto non

investirono? Hanno mai trovato una prova che dimostri che il

governo centrale dell’Arabia ricevette dai pro-

tettorati “conquistati” tributi o tasse di cui ci sarebbe stato

bisogno per lo sviluppo di quegli stessi protettorati; se è così,

quanto ricevette, e meritava una tale somma che si affrontasse

un’avventura in un mondo sconosciuto? Hanno raccolto qualche

informazione degna di fede la quala possa dimostrare che 1’Arabia

veniva privilegiata o anteposta nell’ordine delle preferenze, quando

si trattava di stabilire programmi di spesa o di sviluppo nelle

aree “invase”? Infine, si può dire che 1’Arabia avvertisse la

minaccia di un’improvvisa “esplosione demografica” da cui i Musul-

mani erano costretti a intraprendere guerre avventurose e/o esplo-

razioni economiche?

I1 tentativo di interpretare in termini di necessità econo-

miche i contatti dei Musulmani coi non musulmani può sembrare

attraente, ma non ci sembra che racchiuda molta verità o che

possa avere una grande influenza su un’intellettualità seria.

La minima obiezione che si può fare nei riguardi di tale tentativo

è che esso è lungi dall’essere soddisfacente e completo. C’è an-

cora molto da fare in termini di ricerca, investigazione, analisi

e comparazione. Finchè ciò non sarà stato fatto, nessun critico

ha il diritto morale di spacciare per valide e vincolanti

le proprie assunzioni teoriche. Ciò comporta un’altra cortese esor-

tazione dell’Islam a tutti i critici, affinchè compiano tentativi

più seri per scoprire la verità.

5. Non c’è un gran bisogno di prendere sul serio le opinioni di

coloro i quali considerano le guerre musulmane in termini di sac-

cheggio e bottino. Che cosa c’è di più banale e di più stereo-

tipo di una tale opinione? E’ un modo molto facile per risolvere

certi problemi intellettuali e morali, ma è molto lontano dal

costituire la verità. La stessa questione dei punti 3 e 4 può

essere riproposta, proprio per scoprire quanto bottino gli avven-

turieri musulmani presero per sè o mandarono in Arabia e quanti

dei loro uomini fecero ritorno in patria con le spoglie di guer-

ra. Questo per non parlare del rigoglio, della rinascita e della

prosperità che i territori “saccheggiati” conobbero sotto questi

“saccheggiatori”. Per non parlare nemmeno delle dure persecuzioni

e delle ingenti perdite di vite umane e di beni subite dai Musul-

mani, nè delle provocazioni e delle minacce di cui essi furono

oggetto. Vogliamo semplicemente invitare coloro i quali

nutrono una siffatta opinione a compiere studi più accurati circa

il fenomeno o a trarre conclusioni più responsabili. Comunque,

costoro debbono ricordare che il bottino raccolto dai Musulmani

fu in ogni caso minore rispetto a quanto

essi dovettero perdere in seguito alle confische, alle usurpazioni,

allo persecuzioni o alle altre azioni provocatorie compiute contro

di loro da parte degli avversari.

Sia che i critici delle varie tendenze accettino il punto

di vista di questa panoramica, sia che non lo accettino, resta

il fatto che 1’Islam è la religione della pace nel senso più

completo del termine; che fra i suoi insegnamenti non

ci fu mai la giustificazione della guerra ingiusta; che esso

non predicò mai nè tollerò mai l’aggressione; che esso non fece

mai uso della violenza per imporre la religione a chicchessia;

che l’espansione dell’Islam non fu mai dovuta alla costrizione

o all’oppressione; che l’appropriazione indebita non è mai stata

perdonata da DIO nè è mai stata accettata dall’Islam; che chiun-

que distorce o falsifica gl’insegnamenti dell’Islam recherà danno

a se stesso e ai suoi soci più che all’Islam. Siccome 1’Islam

è la religione di DIO e il diritto sentiero che conduce a Lui,

asso è sopravvissuto nelle circostanze più difficili e sopravvi-

verà per essere il ponte sicuro verso un’eternità felice. Se i

nostri critici nutrono qualche dubbio riguardo a ciò, non hanno

che da studiare approfonditamente 1’Islam, rileggere il Qur’an

e rinfrescare lo loro cognizioni storiche.

I1 fatto che l’espansione dell’Islam nelle regioni “conquistate”

sia stata seguita dalla prosperità economica e dalla rinascita cul-

turale non significa necessariamente che i Musulmani abbiano inse-

guito i guadagni economici e le spoglie di guerra. Anche se tali

presunti guadagni e il bottino diventarono degli incentivi nei più

tardi periodi della storia dell’Islam, non se ne può dedurre che

1’Islam preferisca la guerra alla pace e che i Musulmani agognino

il bottino di guerra. Esistono spiegazioni migliori. Una di queste

dovrebbe essere assai chiara a coloro che hanno dimestichezza con la

discussione classica circa “l’etica protestante e lo spirito del

capitalismo”, secondo la quale il protestantesimo, insieme con altri

fattori, portò alla nascita del capitalismo moderno. Nessuno potrà

seriamente affermare che i protestanti svilupparono la loro etica

al fine di diventare economicamente prosperi o che il capitalismo

modemo dipende ancora dall’etica protestante.

2. GESU, figlio di Maria

Uno dei problemi più controversi della storia umana è la

questione di Gesù. Fu egli completamente divino o soltanto

umano, oppure fu semidivino e quindi semiumano? Era davvero

Gesù o si trattava di un impostore che pretendeva di essere

Gesu? Nacque in maniera ordinaria da un padre e da una madre

come qualunque altro bambino? Nacque in inverno o in estate?

Molti interrogativi di questo genere furono e sono tuttora solle-

vati dai cristiani e dai non cristiani. Discussioni e contro-

versie su tali argomenti si sono succedute ininterrottamente dal

tempo di Gesù fino ad oggi. Fra i cristiani, molte denominazioni

sono sorte sulla base di piccole divergenze sull’interpretazione

di qualche aspetto insignificante di tali questioni. Tutto ciò

è noto ai cristiani come ai non cristiani. Ma 1’Islam

su che posizioni si trova? Può 1’Islam offrire una qualche

spiegazione che risolva questi problemi assillanti? (1)

Prima di poter dire qualcosa, bisogna aver ben chiari tre

punti. Primo: un Musulmano è completamente a proprio agio finchè

si tratta della posizione dell’Islam circa Gesù; la sua mente

è limpida, la sua coscienza è a posto, la sua fede è salda.

Secondo: la concezione islamica di DIO, della

religione, della missione profetica, della rivelazione o dell’uma-

nità fanno si che un Musulmano accetti Gesù non solo come un fatto

storico, ma anche come uno dei più illustri Messaggeri di DIO.

Bisogna quì ricordare che l’accettazione di Gesù da parte dei Mu-

sulmani è nell’Islam un fondamentale articolo di fede e che un

Musulmano non può considerare Gesù in termini avvilenti. I1 Mu-

sulmano non ha la libertà di diffamare Gesù o qualunque altro

profefa di DIO.

(1) Non c’è nulla di significativo, nella vita di Gesù, su cui

esista concordia di pareri: come, quando, dove nac-

que, visse, ricevette l’investitura profetica, morì e fu sepolto;

se realmente compì dei “miracoli” e di che genere; se, quando e

come risuscitò da morte. La mancanza di spazio e il carattere

diffamatorio e blasfemo delle argomentazioni ci costringono a li-

mitare la discussione di queste provocatorie questioni. Per una

panoramica critica e un’eccellente bibliografia, vedi Qadi Muḥammad

Barakatullah, Jesus Son of Mary, Fallacy and Factuality, Philadel-

phia, Dorrance & Company, 1973.

Terzo: ciò che diremo in questa sede e quanto viene detto

e insegnato dal Qur’an. Per quanto assai impopolari fra i cri-

stiani, il punto di vista islamico concernente Gesù non intende

in alcun modo diminuirne la funzione o sottovalutarne

la figura o dagradarne la grande personalità. Al contrario, il

punto di vista islamico presenta Gesù in termini molto

rispettosi e lo colloca ad un livello che è quello su cui DIO

stesso lo ha collocato. In realtà, il Musulmano ha per Gesù un

rispetto maggiore di quello che ne hanno parecchi cristiani.

Ma la posizione dell’Islam non deve essere

interpretata in maniera distorta. Non deve essere interpretata

come il frutto di un compromesso o come un tentativo di stabilire

une via di mezzo, un accordo. Deve essere considerata come la

verità, in cui il Musulmano saldamente crede e continuerà a credere.

E’ la verità di ieri, la verità di oggi, la verità di domani.

L’ambiente in cui Gesù nacque e crebbe merita qualche atten-

zione. Gli uomini ai quali egli fu inviato avevano dei caratteri

molto particolari, fra cui: 1) manipolavano e interpretavano

in maniera sbagliata le Scritture di DIO, nella lettura e nello

spirito; 2) avevano respinto alcuni dei loro profeti, come

avvenne pure con Gesù, e ne avevano uccisi alcuni; 3) erano

duri e irresponsabili in ciò che concerneva la ricchezza, I1

Qur’an dice:

Non è vero che, quando viene a voi (figli di Israele) un

messaggero con ciò che voi non desiderate, sbuffate con superbia?

Alcuni li avete chiamati impostori, altri li uccidete! (2, 87).

DIO ha udito l’insulto di coloro che dicono: Davvero DIO

è indigente, e noi siamo ricchi! Noi certamente ricordiamo la

loro parola e (la loro azione) di uccidere i profeti a sfida

della giustizia e diremo: Assaggiate la pena del Fuoco che

brucia! (3, 181).

Dio per un certo tempo fece un patto coi Figli d’Israele.

Ma siccome infransero il Patto, Noi li maledimmo e abbiamo fatto

indurire i loro cuori: essi cambiano le parole dal (giusto) posto

e dimenticano una buona parte del Messaggio che era stato inviato

loro (5, 13-14).

Questa era l’indole della gente a cui fu mandato Gesù.

Quanto alla data della sua nascita, i cristiani non sono stati

in grado di fissare una stagione precisa dell’anno. “Gli astro-

nomi non hanno ancora fornito una spiegazione scientifica della

stella di Betlemme… Nè l’anno della nascita di Cristo nè la

stagione dell’anno in cui essa (la stella) si mostrò sono noti

con certezza… Gli storici, nel fissare tale data, vanno dal-

1’11 a.C. al 4 a.C… Inoltre (….) se il periodo dell’anno

in cui si verificò la sua nascita non è stato accertato come si

vorrebbe, molto probabilmente essa ebbe luogo in primavera, piut-

tosto che in dicembre…” (Mrs, Simone Daro Gossner dell’U.S.

Naval Observatory, cit. a p. 12 di “The Edmonton Joumal”, 23

dicembre 1960).

Comunque sia, per il Musulmano la questione più importante è

quella della nascita di Gesù. Fino al tempo di Gesù avevano avuto

luogo tre specie di creazione, in ciascuna delle quali era manifeata-

mente apparsa la sapienza e la saggezza di DIO Creatore. Dapprima

vi fu un essere umano creato senza concorso o presenza di padre o

madre umani conosciuti, e fu Adamo. Poi vi fu un essere umano crea-

to senza che prima esistesse una madre o un antenato di sesso femmi-

nile, e fu Eva. Essa fu anticipata da Adamo, al quale possiamo pensa-

ro come al padre simbolico o emblematico del genere umano. Infine,

vi furono milioni di esseri umani creati attraverso l’ordinario

rapporto intimo fra padri e madri. Qualche mente speculativa po-

trebbe aver considerato la possibilità di una quarta specie di crea-

zione, ossia alla creazione di un essere umano senza il concorso

fisico di un padre umano. Questa possibilità sembra essere stata tra-

dotta in realtà da DIO nella creazione di Gesù, forse per compiere

il numero delle quattro possibilità di creazione e per manifestare

la potenza del Creatore in ogni modo e in ogni forma. La nascita

di Gesù alla pia Maria fu un fatto miracoloso, un atto della volontà

di DIO. La scelta di questa modalità di creazione, in quel particolare

periodo, può essere comprensibile cosi come è interessante. Sembra

che la medicina fosse molto popolare in un modo o nell’altro, in una

regione o in un’altra. I contemporanei di Gesù si erano allontanati

parecchio dal Sentiero di DIO e per di più erano ostinati e testardi.

DIO mostrò loro la Sua potenza in una nuova forma di creazione.

Mostrò loro che la Sua potenza è infinita e che la loro salvezza poteva

derivare soltanto dalla sottomissione a Lui e dalla fede in Lui.

Questa dimostrazione avvenne in maniera da colpire

la mente umana: con la creazione di Gesù. Questa, forse, fu anche

un’anticipazione de1 genere di miracoli che Gesù avrebbe compiuti

in seguito con l’aiuto di DIO, miracoli che furono più o meno di

natura medica.

Bisogna sottolineare che questa interpretazione ipotetica della

nascita di Gesù non si basa sull’autorità del Qur’an o sulle tradi-

zioni di Muḥammad. Queste quattro forme di creazione logicamente

possibili e l’induzione che la nascita di Gesù costituisce 1a quarta

e definitiva modalità di creazione sono vedute personali di chi scri-

ve e sue ipotesi particolari. Questo punto di vista individuale

non fa appello all’autorità del Qur’an e delle tradizioni di Muḥammad.

Sia o no valida questa ipotesi circa le quattro specie di creazione,

essa non coinvolge in nessun modo la fede del Musulmano nella veridi-

cità del Qur’an e l’affermazione dì quest’ultimo, secondo cui la na-

scita di Gesù è volontà e opera di DIO, volontà e opera miracolosa.

Comunque, l’argomento merita di essere approfondito.

Ora, se qualcuno vuole chinare Gesù “figlio di Dio” o “Dio”

per il fatto che egli venne creato senza il concorso di un padre

umano e per il fatto che DIO stesso lo avrebbe adottato e avrebbe

agito con lui come un padre, allora bisogna applicare il medesimo

ragionamento, e in maniera più appropriata, ad Adamo, il quale non

ebbe nè padre nè madre. E se la paternità di Dio è interpretata in

senso figurato, allora essa deve applicarsi a tutto quanto il genere

umano, in particolare a coloro che si sono distinti nel servizio del

Signore Sommo. Gli esseri umani sono una meravigliosa creazione di

Dio e in un certo senso sono Suoi figli. Che la paternità divina

venga interpretata letteralmente o simbolicamente,

sarebbe del tutto arbitrario limitarla al solo Gesù, escludendo

Adamo nella prima interpretazione e il resto del genere umano nella

seconda. I1 Qur’an rivela la nascita di Gesù nel modo seguente:

E riferisci (o Muḥammad) nel Libro (la storia di) Maria,

quando si allontanò dalla sua famiglia per recarsi in un luogo

ad oriente. Pose uno schermo (per ripararsi) da loro; poi Noi

le inviammo il nostro angelo ed egli si presentò a lei sotto le

sembianze di un uomo. Ella disse: Cerco rifugio da te nel (Dio)

Misericordiosissimo: (non avvicinarti) se temi Dio. E lui disse:

Io sono solo un messo da parte del tuo Signore, (per annunciarti)

il dono di un puro figliolo che cresce. E lei: Come potrò avere

un figlio, dal momento che nessun uomo mi ha toccata e io non

vengo meno alla castità? Quegli rispose: Così (avverrà); il tuo

Signore ha detto: Questo per Me è facile e (Noi vogliamo) fare

di lui un Segno per gli uomini e una Misericordia da parte Nostra.

E’ una cosa decretata cosi. Quindi ella lo concepì e si ri-

tirò con lui in un luogo deserto. E le doglie del parto la spinse-

ro al tronco di una palma, Ah! -gridò (nella sua angoscia)-

come vorrei esser morta prima d’ora! come vorrei essere una cosa

dimenticata o trascurata! Ma una voce gridò a lei ai piedi

della palma: Non angustiarti, chè il tuo Signore ha disposto un ruscello

ai tuoi piedi; e scuoti verso di te il tronco della palma: essa

farà cadere sopra di te datteri freschi. Mangia e bevi e

ristorati la vista. E se vedi un uomo, di: Ho fatto voto di

digiunare al (DIO) Misericordiosissimo e in questo giorno non

parlerò con alcun essere umano. Infine 1o recò alla sua gente

portandolo(fra le braccia). Dissero: O Maria! Hai fatto dav-

vero una casa stupefacente! 0 sorella di Aronne, tuo padre non

era un uomo malvagio nè tua madre fu donna peccatrice! Ella in-

dicò il bimbo. E quelli dissero: Come possiamo parlare con uno

che è un bimbo nella culla? E lui: Io sono in realtà un servo

di DIO: Egli mi ha dato la rivelazione e ha fatto di me un profeta;

e ha fatto si che io sia benedetto dovunque mi trovi e mi ha prescritto

preghiera e carità, finchè io viva; e mi ha reso dolce con mia

madre, non prepotente o miserabile; cosi è pace su di me nel giorno

in cui sono nato, nel giorno in cui morirò e nel giorno in cui

sarò (nuovamente) suscitato alla vita! Tale (fu) Gesù figlio di

Maria. E’ dichiarazione di verità, su cui essi vanamente discutono.

Non è degno del (la Maestà di) Dio che Egli generi un figlio.

Gloria a Lui! Quando Egli decide una cosa, dice soltanto: Sii’,

ed essa è. In verità DIO è il mio Signore e il Signor vostro:

Lui dunque dovete servire, e questa e una Via diritta, (l9, 16-36;

cfr. 3, 42-64; 4, 171-172; 5, 17, 72-75; 25, 2; 43, 57-65).

Poi DIO dirà: “O Gesù figlio di Maria, proclama la Mia

grazia verso di te e verso tua madre. Guarda! Io ti rafforzai

col santo spirito, sicchè tu parlasti agli uomini nell’infan-

zia e nell’età adulta. Guarda! Io ti insegnai il Libro e la

Sapienza, la Legge e il Vangelo. E considera: tu fai con la

creta la figura di un uccello, col Mio permesso; e vi soffi

sopra, ed esso diventa un uccello col Mio permesso; e guarisci

i ciechi nati e i lebbrosi, col Mio permesso. Guarda:

col Mio permesso fai risuscitare i morti. Guarda, Io trattenni

i figli d’Israele dal (farti violenza) quando tu mostrasti loro

i Segni Evidenti e gl’infedeli fra loro dissero: Questa non è

se non magia evidente. E guarda! Dio dirà: 0 Gesù figlio di

Maria, fosti tu a dire agli uomini: Adorate me e mia madre quali

dèi a deroga di DIO? Egli dirà: Gloria a Te! Io non ho mai

potuto dire quello che non ho alcun diritto (di dire)… Io non

ho mai detto loro nulla, se non quello che Tu mi ordinasti di

dire, cioè: Adorate DIO, mio Signore e vostro Signore; e io fui

testimone dinanzi a loro finchè dimorai fra di loro; quando Tu

mi prendesti, fosti Tu il loro Custode e Tu sei Testimone

di tutte le cose’ (5, 110-117).

Questi versetti ne rappresentano moltissimi altri analoghi,

sparsi per tutto il Qur’an. Essi mettono tutti quanti in risal-

to il fatto che Gesù non pretese mai di essere un DIO o il figlio

di DIO, e che egli fu soltanto il servo e l’apostolo del Signore

sul modello di quelli che lo avevano preceduto. I1 Qur’an sotto-

linea questa verità nel modo seguente:

E sulle loro orme (dei profeti) mandammo Gesù, il figlio di

Maria, a confermare la Legge che era venuta prima di lui: una

guida e un monito per coloro che temono di dispiacere a DIO (5,

46).

Sono blasfemi coloro che dicono DIO è Cristo, il figlio

di Maria’. Cristo invece disse: 0 figli d’Israele, adorate DIO,

mio e vostro Signore. Chiunque associa a DIO altri dei, DIO gli

interdirà il Giardino e sua dimora sarà il Fuoco. Per i mal-

fattori non vi sarà nessuno che li soccorra’. Bestemmiano coloro

che dicono: DIO è uno di tre in una Trinità, perché non c’è

DIO sa non il Solo DIO. Se non desistono dalla loro parola (bla-

sfema), in verità cadrà sui blasfemi tra loro un grave castigo.

Perchè non si rivolgono a DIO e non chiedono il Suo perdono?

Chè DIO è sommamente Misericordioso, sommamente Misericorde, e

Cristo il figlio di Maria non fu niente più che un Suo

Apostolo; molti furono gli apostoli che morirono prima di lui.

Sua madre fu una donna di verità. Ambedue dovevano mangiare

il loro cibo (quotidiano). Vedi come DIO rende loro evidenti

i Suoi Segni; e vedi tuttavia in che modo vengono allontanati

dalla verità! … Di: O Gente del Libro, non superate nella

vostra religione i limiti (di ciò che è giusto), oltrepassando

la verità. E non seguite i vani desideri di gente che errò in

epoche passate, gente che indusse molti in errore e deviò essa

stessa dalla vera Via (5, 72-75; cfr. 4, 171-172).

Gli inizi di Gesù furono controversi. E così la sua fine.

Fra gli uni a l’altra, ogli fu perseverante nell’eseguire la pro-

pria missione, rafforzato dal Libro di DIO, dalla sapienza, dai

Segni Evidenti a dal santo spirito. Tuttavia furono pochissimi

quelli che lo accolsero a cuore aperto. Per quanto

tollerante e pacifico, Gesù non poteva tollerare l’ipocrisia dei

figli d’Israele e la loro devozione alla lettera della Legge a

spese dello spirito di essa. Egli fu respinto e combattuto da

loro, tanto che progettarono di farlo morire di morte

violenta. Era un fatto ordinario, fra i figli d’Israele, che

alcuni dei loro profeti fossero respinti a che altri fossero uc-

cisi. Gesù non fece eccezione alla regola. Per poco essi non

lo uccisero sulla croce. Erano davvero convinti di averlo

crocifisso. L’episodio fu narrato in termini di

grande drammaticità e i lamenti sulla morte di Gesù diventarono

liturgia sacra per i cristiani, cosi come le lamentazioni per

i giudei.

Fu ordito un complotto per crocifiggere Gesù; ebbe luogo

una reale esecuzione sulla croce; qualcuno fu veramente crocifisso.

Ma non si trattò di Gesù; fu qualcun altro a essere crocifisso al

suo posto.

Quanto a Gesù, DIO lo trasse in salvo e lo sottrasse ai suoi

nemici. DIO coronò la sua missione sulla terra salvandolo dalla

morte violenta e sollevandolo a Sè in Cielo. Per la fede islamica

non ha una grande importanza sapere se Gesù venne elevato nel

suo rango in termini di eminenza o se fu innalzato da vivo con

l’anima e col corpo o se fu innalzato solo con l’anima dopo che

morì di morte naturale. Non è articolo di fede, perché quello

che è importante e vincolante per un Musulmano è quello che

è rivelato da DIO; e DIO ha rivelato che Gesù non fu crocifisso,

ma fu innalzato a Lui. I1 Qur’an riferisce la fine di Gesù nel

modo seguente:

La Gente del Libro ti chiede (o Muḥammad) di far scendere

loro un libro dal cielo: in realtà essi chiesero a Mosè un

(miracolo) ancora più grande, perché dissero: ‘Mostraci DIO in

pubblico’. Ma per la loro presunzione ebbero un tuono e un

fulmine. Tuttavia adorarono il Vitello anche dopo che furono

giunti loro Segni Evidenti; anche così Noi li perdonammo; e demmo

a Mosè prove manifeste di autorità. E per il loro Patto Noi in-

nalzammo su di loro (la torreggiante altezza) del monte (Sinai); e

(in un’altra occasione) dicemmo: Entrate per la porta con umil-

tà’; e (un’altra volta) ordinammo loro: Non trasgredite in materia

di Sabato. E accettammo da loro un Patto solenne. (Essi sono

incorsi nella collera divina) perché hanno infranto il Patto,

perché hanno respinto i Segni di DIO, perché hanno ucciso i Messaggeri

a sfida della giustizia, perché hanno detto: I nostri cuori

sono gl’involucri (che custodiscono la parola di DIO; non ce ne

servono altri); invece DIO ha posto il sigillo sui loro cuori

per la loro bestemmia e poco è quello che

credono; perché hanno respinto la Fede; perché hanno pronunciato

contro Maria una accusa grave e falsa; perché hanno detto

(vantandosi e schernendo): ‘Noi abbiamo ucciso Cristo, Gesù, il

figlio di Maria, l’apostolo di DIO. Però essi non lo uccisero,

nè lo crocifissero, ma così parve loro. E coloro che

divergono nelle loro opinioni riguardo a ciò sono pieni di

dubbi, con nessuna conoscenza (sicura), ma seguono solo delle

congetture, perché certamente non lo uccisero. Anzi, DIO lo

innalzò a Sè; e Dio è Eccelso in Potenza, è Sapiente (5, 153-

158; cfr. 3, 52-59).

L’Islam respinge la dottrina della crocifissione di Gesù

ad opera dei nemici di DIO e anche i fondamenti della dottrina.

Questo rifiuto si basa sull’autorità di DIO stesso, così come

è rivelata nel Qur’an, e su un più profondo rifiuto del sacrificio

cruento e dei capri espiatori. L’Islam insegna che il primo

peccato di Adamo fu perdonato dopo che lui stesso lo espiò; che

ogni peccatore, se non è perdonato da DIO, sarà responsabile

egli stesso per i propri peccati; che nessuno può espiare i

peccati di un altro. Ciò non lascia alcuno spazio alla dottrina

del sacrificio cruento o dell’espiazione per conto di un’altra

persona. Comunque, alcune delle prime correnti cristiane non

credettero che Gesù era stato ucciso sulla croce. I Basilidiani

credevano che al suo posto fosse stato crocefisso qualcun altro.

I Docetisti ritenevano che Gesù non avesse mai avuto un fisico

reale o un corpo naturale, ma solo un corpo apparente, e che

apparente fosse stata la sua crocifissione, non reale. I1 Vangelo

marcionita (circa 138 d.C.) negava che Gesù fosse nato e diceva

semplicemente che era apparso in forme umane. I1 Vangelo di

San Barnaba (del quale esiste una traduzione inglese nella biblio-

teca di Stato di Vienna e una traduzione araba nel mondo arabo)

conforta la versione della sostituzione sulla croce.

Per quanto concerne la fine di Gesù, il Musulmano è a suo agio,

così come per quel che concerne gl’inizi. I1 Musulmano crede che

Gesù non fu nè ucciso nè crocifisso, ma che DIO lo innalzò a Se

in onore e grazia. I1 pensiero del Musulmano è lucido riguardo a

tutta quanto l’argomento. 11 Qur’an ha risolto per lui ogni con-

troversia, una volta per tutte. La credenza nella crocifissione

di Gesù solleva una serie di inevitabili interrogativi, alcuni

dei quali possono essere presentati qui di seguito:

1) La crocifissione di Gesù, così com’è concepita dalle chiese

cristiane, è compatibile con la giustizia, la misericordia, la

potenza e la sapienza di DIO?

2) E’ giusto, da parte di DIO o da parte di chiunque, far sì che

uno si penta per i peccati o gli errori degli altri, peccati nei

quali il pentito non ha parte alcuna?

3) E’ coerente con la misericordia e la sapienza di DIO credere

che Gesù fu umiliato e ucciso nel modo in cui viene raccontato?

4) E’ un adempimento della promessa di DIO (quella secondo cui

Egli difende i Suoi alleati e protegge i Suoi prediletti)

l’essere stato Gesù abbandonato al punto da diventare facile

preda per i nemici di DIO? Questo evento deve forse essere conside-

rato un modo di adempimento di un impegno o una maniera per

onorare la propria parola?

5. E’ giustificabile e credibile che DIO, 1’Indulgentissimo,

sia stata incapace di perdonare Adamo e i suoi figli per il pec-

cato originale e che li tenne in sospeso e in aspettativa finchè

non venisse Gesù a espiare col suo sangue?

6) La credenza della crocifissione e del sacrificio cruento appare

in qualche religione, oltre che in quelle dei pagani greci e romani,

degl’Indiani, dei Persiani ecc.?

7) C’è un evento parallelo a quello di Gesù nella storia umana,

al di fuori delle figure simboliche di Dioniso, Apollo, Adone,

Horo e altri dèi nati da vergini?

8) Non ci viene nuova luce se confrontiamo le parole attribuite a

Gesù con quelle di Dioniso, il quale disse di essere l’alfa e l’omega

del mondo e di esser venuto a redimere l’umanità col suo sangue?

L’analogia esistente fra queste parole e quelle attribuite a Gesù

in epoca successiva non stimola un’indagine intesa a scoprire la

verità in tutta la questione?

9) Che cosa avevano contro Gesù le autorità di Roma? Egli non

costituiva alcuna minaccia al loro dominio. Anzi, egli

compì molte azioni a beneficio di eminenti personalità romane

e delle loro famiglie. Egli insegnava ai suoi seguaci a dare a

Cesare quello che era di Cesare e a DIO quello che era di DIO. Era

un predicatore pacifico e giovava grandemente alle autorità romane

nel mantenimento della legge e dell’ordine nella regione. Perchè

avrebbero dovuto crocifiggerlo e perdere un suddito così rispettoso

della legge e così vantaggioso?

10) Che cosa sappiamo circa la persona del governatore

romano, Pilato? Era in buoni rapporti coi giudei del suo tempo,

che si appellavano a Roma contro di lui? I1 suo governo in Giudea

non risentiva del suo disprezzo e della sua avversione nei loro

confronti? Era possibile corromperlo? Perchè doveva darsi da fare

per eseguire i loro voleri e realizzare i loro desideri? Perchè non

avrebbe dovuto accettare il donativo di un ricco ammiratore di Gesù

cone Giuseppe d’Arimatea? Questo Giuseppe d’Arimatea, secondo Luca,

era ricco e aveva un grande interesse per Gesù e, come membro del

sinedrio, non concordò con il parere di far crocifiggere Gesù. Non

può aver cercato, anche mediante donativi intesi a corrompere il

governatore, di salvare Gesù dalla crocifissione dopo che non era

riuscito a impedire la decisione del sinedrio?

11) In che modo molti discepoli affrontarono l’evento dell’asserita

crocifissione di Gesù e quali furono le loro reazioni? Può esser ve-

ro quello che dice Matteo (26, 56), ossia che tutti i discepoli

lo abbandonarono e fuggirono via? E’ questa la purezza e la fermezza

d’animo dei grandi discepoli di un grande maestro? Si dice che solo

Giovanni, il prediletto, fosse presente alla scena. Ma quanto durò

la sua presenza e quanto tempo era necessario perché un con-

dannato morisse sulla croce, a quel tempo? Secondo alcune fonti

storiche autorevoli (v, artic. “Croce”, The Chambers

Encyclopedia, l950) ci volevano in genere alcuni giorni perché il

condannato morisse sulla croce. Perchè dunque nel caso di Gesù ci

vollero solo poche ore e non i consueti pochi giorni? E perché egli

“morì” sulla croce mentre i suoi due compagni gli sopravvissero?

Che cosa bisogna pensare della tenebra che oscurò tutta la terra per

tre ore nel periodo della crocifissione (Matth. 27, 45; Marc. 15, 53;

Luc. 23, 44)? In quel periodo di oscurità o confusione non può darsi

che abbia avuto luogo una sostituzione di persona, sotto la tunica

rossa di Gesù?

12. Quali rapporti avevano con Gesù quei soldati romani che gli

avevano imposto la croce? Come potevano essere sicuri che si trat-

tesse della persona giusta? Lo riconobbero davvero quando andarono

a prenderlo? Avevano, qualche interesse o urgenza particolare per

identificare Gesù nel momento in cui si celebrava una festa pubblica

ed era pressante il timore di un’esplosione popolare?

13. Un credente può ritenere che Gesù (il quale fu uno

dei cinque messaggeri di DIO più decisi e perseveranti) abbia parlato

a DIO dalla croce nel modo che ci è stato riportato, ossia in tono

di rimprovero o quanto meno di angoscia? Si addice a un profeta

di primo rango quale Gesù dire, in un momento di prova suprema, che

DIO lo ha abbandonato? Un tale atteggiamento deve essere assunto a

modello nel rivolgersi a DIO o nel reagire alle esperienze in cui

siamo messi a dura prova?

14. DIO, il Misericordiosissimo, 1’Indulgentissino, 1’Altissimo,

non era in grado di perdonare i peccati degli uomini? Doveva neces-

sariamente infliggere questa crocifissione crudele e umiliante a un

uomo che non solo era innocente ma si era anche consacrato al servizio

e alla causa di DIO nel modo più egregio? E’ così che si manifesta

la misericordia e l’indulgenza di DIO? E’ questo un riflesso della

Sua giustizia e del Suo amore?

Un’indagine delle circostanze di quell’epoca, lo studio del com-

portamento delle autorità politiche, delle reazioni popolari, della

concezione di DIO, dello statuto attribuito all’uomo, dello scopo

della religione e della vita – uno studio su tutto ciò può

dar luogo a considerazioni interessanti, simili a quelle svolte dallo

scrivente. Finchè non si trovi una soddisfacente risposta a tali in-

terrogativi, il credente non può essere a proprio agio, nè può godere

di una vera tranquillità d’animo. Sarebbe dunque consigliabile ef-

fettuare, per tutti gli aspetti della questione, uno studio ap-

profondito e adottare un più serio metodo di ricerca.

Comunque, per quanto concerne il Musulmano, tali interrogativi

non si presentano mai e tali perplessità sono irrilevanti, perché

1’Islam è fermo nel ritenere che Gesù non fù crocifisso o ucciso,

ma fu onorato ed elevato a DIO Stesso. Nella letteratura cristiana

si dice che Gesù apparve, dopo la sua crocifissione, ad alcuni disce-

poli. Tale apparizione è del tutto possibile e non contraddice in

alcun modo con la versione islamica. Se è vero che egli apparve,

il Musulmano crede che tale apparizione non ebbe luogo dopo la morte

sulla croce, ma dopo il ritiro che egli effettuò per ordine di DIO,

come un passo nel piano di DIO per salvarlo e contrattaccare l’odio-

sa cospirazione dei nemici. Invece di essere crocifisso e umiliato

come era stato progettato dai suoi nemici, egli fu ancor più esaltato

nel suo rango e a ancor più onorato: questo fu il contrattacco di Dio.

La grandezza di Gesù e l’eminenza della sua funzione, secondo

i Musulmani, non derivano dalla credenza cristiana secondo cui egli

sarebbe stato crocifisso a sangue freddo a causa dei suoi insegna-

menti e in espiazione dei peccati dell’umanità. Se questa cre-

denza volgare fosse valida, si potrebbe essere tentati di dire che

il sacrificio espiatorio di Gesù avvenne invano, perché il peccato

non è stato eliminato. Oppure si potrebbe anche dire che vi sono

migliaia di grandi eroi come Gesù, i quali morirono per la loro

causa, degna o no che fosse. Tali cause possono essere trovate

ovunque: fra i Tedeschi, i comunisti, i soldati dell’ONU, i guer-

rieri religiosi, i patrioti ecc. E se una morte violenta di tal

genere deifica il morto, allora il genere umano ha innumerevoli

dèi e divinità, per cui sarebbe arbitrario da parte di chiunque

riservare una divinità di questo tipo esclusivamente a Gesù, senza

considerare gli altri eroi che morirono in situazioni analoghe.

Ma il Musulmano non tiene conto di un paradosso di questo

genere. Egli crede che la grandezza di Gesù derivi dal fatto che

egli venne scelto da DIO e fu onorato con la Sua parola; che gli

furono affidate le rivelazioni di DIO e fu incaricato di

diffondere il Suo messaggio; che fu un profeta di rango e di va-

glia; che fu sincero interiormente ed esternamente; che combattè

l’ipocrisia e l’empietà; che fu eccellente all’inizio, quando

nacque, e alla fine, al momento della sua ascensione; e che fu

un Segno per gli uomini e una misericordia da parte di DIO,

Pace su di lui e sui profeti come lui.

La natura di questa panoramica non ci consente di trattare

in maniera massiccia le affermazioni del Qur’an circa Gesù e la

sua missione. Quello che è stato detto qui costituisce solo la

parte fondamentale. Per uno studio e un’indagine ulteriore, il

lettore può riferirsi al Qur’an stesso. Per agevolare i riferi-

menti, presentiamo qui di seguito una tabella indicante i capitoli

e i versetti del Qur’an che hanno, a tale proposito, il maggior

rilievo.

CAPITOLO VERSETTO

2 87, 136, 253

3 42-59, 84

4 156-159, 171-172

5 17, 46, 72, 75, 78,

110-118

6 85

9 30-31

19 1-40

23 50

33 7

42 13

43 57-65

57 27

61 6, 14

3. Poligamia (pluralità delle mogli)

A rigor di termini, poligamia significa pluralità di coniugi.

Più in particolare, se un uomo ha contemporaneamente più mogli,

si dovrebbe parlare di poliginia. Ma, siccome il lettore ordinario

non fa nessuna distinzione fra i due termini, questi verranno usati

indifferentemente. Quando diciamo poligamia in questo contesto,

il termine significa attualmente poliginia

nel vero senso di quest’ultima parola. D’altro canto, se una donna

ha più di un coniuge, si parla di poliandria. Se si tratta di

una mescolanza di uomini e donne, si ha allora un matrimonio di

gruppo o matrimonio comune.

Questi tre tipi fondamentali di matrimonio plurimo sono stati

più o meno praticati da differenti società in differenti epoche in

differenti circostanze. I1 modello più comune è la poliginia; essa

è tuttavia necessariamente limitata a un’infima minoranza di una

data popolazione, per varie ragioni. Questo è il solo modello di

matrimonio plurimo ammesso dall’Islam. Gli altri due, la pluralità

dei mariti (poliandria) e i matrimoni di gruppo sono assolutamente

proibiti nell’Islam.

In ogni caso, non è corretto affermare che giudaismo e cri-

stianesimo siano sempre stati Monogamici o categoricamente contra-

ri alla poligamia; non lo sono nemmeno oggi. Alcuni importanti

studiosi giudei, ad es. Goitein (pp. 184-185) informano che

immigrati ebrei poliginici procurano alle autorità israeliane

difficoltà e disagio. La posizione dei cristiani mormoni e ben

conosciuta. Analogo è il punto di vista di quei vescovi afroasiatici

cho preferiscono la poliginia all’adulterio, alla fornicazione,

alla convivenza. Solo negli USA, sembra che coloro i quali convi-

vano senza essere sposati siano centinaia di migliaia.

E’ interessante notare come vi sia una stretta relazione fra

la monogamia rigorosa e formale e la frequenza della prostitu-

zione, dell’omosessualità, dei rapporti illegittimi, degli adulteri,

del lassismo sessuale in genere. La storia delle civiltà

greco-romana e giudaico-cristiana è ancor più rivelatrice sotto

questo rispetto, come può mostrare una sommaria storia dell’istituto

familiare dal punto di vista sociologico (2).

Rivolgendoci al caso dell’Islam, nel mondo occidentale troviamo

molta gente la quale ritiene che un Musulmano sia un uomo posseduto

dalle passioni fisiche e in possesso di un numero limitato o illimi-

tato di mogli e concubine. Molti individui, fra costoro, si mostrano

sorpresi allorchè vedono un Musulmano con una sola moglie o addirittura

scapolo. Essi credono che il Musulmano abbia la completa libertà

di andare da una moglie all’altra o da un gruppo di mogli a un altro

gruppo di mogli e che ciò sia facile come 1o spostarsi da un appartamento

a un altro o come cambiarsi d’abito. Questo atteggiamento mentale

è aggravato in parte dalle raffigurazioni di tipo romantico

e dai romanzi da quattro soldi e in parte dal comportamento irrespon-

sabile di alcuni Musulmani. L’inevitabile risultato di questa si-

tuazione è che milioni di persone non possono vedere la vivida luce

dell’Islam e la sua filosofia sociale, proprio a causa di tali scher-

mi che si sono frapposti. E’ per tali persone che cercheremo di

discutere la questione dal punto di vista musulmano, dopo di che

ciascuno sarà libero di trarre le proprie conclusioni.

La poligamia come tale è stata praticata nel corso di tutta

la storia umana. Fu praticata da profeti quali Abramo, Giacobbe,

Davide, Salomone ecc.; da re e uomini di governo; da gente comune

dell’0riente e dell’0ccidente nei tempi antichi come in quelli mo-

derni. Ancor oggi, essa viene praticata fra Musulmani e non musul-

mani d’0riente e d’0ccidente sotto varie forme, alcune delle quali

sono lecite, mentre altre sono illecite e ipocrite; a volte in se-

greto e a volte pubblicamente. Non c’è bisogno di fare delle grandi

ricerche per scoprire dove e come un gran numero di individui spo-

sati mantengano rapporti intimi con amanti, coniugate o nubili, le

frequentino o si accompagnino occasionalmente con

altre donne, sotto la protezione della legge. Piaccia o non piaccia

ai moralisti, resta il fatto che la poligamia è un dato di fatto

e può esser vista dappertutto e trovata in ogni periodo storico.

Al tempo delle rivelazioni bibliche, la poligamia era comune-

mente accettata e praticata. Era accettata religiosamente, social-

mente e moralmente; e nessuno aveva alcunchè da obiettare. E’ for-

se questo il motivo per cui la Bibbia non ha trattato l’argomento:

proprio perché la poligamia era una cosa normalissima, una realtà

ordinaria. La Bibbia non la proibisce, non la regola nè la limita.

Alcuni hanno interpretato la parabola evangelica delle vergini

come la manifestazione di un assenso a tale istituzione: in parti-

colare, un assenso al mantenimento di dieci mogli contemporaneamente.

Quando 1’Islam venne ripresentato da Muḥammad, la pratica della

poligamia era comune e profondamente radicata nella vita sociale.

I1 Qur’an non ignorò tale pratica e non la condannò, ma nemmeno

la lasciò proseguire senza regolamentarla e senza disciplinarla.

I1 Qur’an non poteva essere indifferente di fronte a tale questione

e non poteva tollerare il caos e l’irresponsabilità che si possono

accompagnare alla poligamia. Così come fece con altre consuetudini

sociali e altre usanze, il Qur’an intraprese a organizzare l’istitu-

zione e a purificarla in maniera tale da sradicarne i mali endemici

e da garantirne i vantaggi. I1 Qur’an se ne occupò per il fatto che

asso doveva essere realistico e non poteva tollerare alcuna confu-

sione nell’ambito famigliare, che costituisce l’autentico fondamento

della società. I1 benefico intervento del Qur’an introdusse queste

norme:

1. La poligamia è lecita a certe condizioni e in certe circostanze.

Si tratta di un permesso condizionato, non di un articolo di fede o

di una pratica necessaria.

2. Questo permesso è valido fino a un massimo di quattro mogli.

Prima dell’Islam non c’erano limiti e garanzie di nessun genere.

3. La seconda o la terza moglie, se viene sposata, gode dei mede-

simi diritti e privilegi della prima. Ha pieno diritto a tutto ciò

che è dovuto alla prima. La parità fra le mogli in fatto di

trattamento, alimenti e cortesia è un requisito preliminare della

poligamia, una condizione che deve essere adempiuta da chi tiene

più di una moglie. Questa parità dipende ampiamente dalla coscienza

intima dell’individuo.

4. Questo permesso costituisce un’eccezione al corso ordinario

delle cose. E’ l’extrema ratio, l’ultimo tentativo per risolvere

alcuni problemi sociali e morali e per far fronte a difficoltà inevitabili.

Insomma, è una misura d’emergenza e deve rivestire

un significato di questo genere.

I1 passo coranico attinente all’argomento recita cosi:

Se temete di non poter trattare con giustizia gli orfani (che

voi sposate o le cui Madri vi prendete in mogli), sposate donne

di vostra scelta, due o tre, o quattro; ma se temete di non poterle

trattare con giustizia, allora una so1a, o (una prigioniera) che

la vostra mano destra possiede. Ciò sarà più conveniente per

prevenirvi dal commettere ingiustizia (4, 3).

I1 passo fu rivelato dopo la battaglia di Uhud, nella quale

furono uccisi molti Musulmani, sicchè rimasero vedove e orfani;

i sopravvissuti dovevano quindi garantire loro l’assistenza necessa-

ria. Il matrimonio era un nodo per proteggere quelle vedove e

quegli orfani. I1 Qur’an diede questo avvertimento e indicò questa

possibilità di scelta per proteggere i diritti degli orfani e

impedire ai tutori di commettere ingiustizia a danno dei loro

tutelati.

Da questo contesto risulta chiaro che non fu 1’Islam

a inventare la poligamia e che, introducendo le regole suddette,

esso non la incoraggia come norma. Esso non la abolì, perché, se fosse

stata abolita, lo sarebbe stata solo in teoria e la gente avrebbe

continuato a praticarla, come possiamo notare oggi fra altre popo-

lazioni, le cui leggi e consuetudini sociali non ammettono la po-

ligamia. L’Islam è venuto per essere tradotto in

pratica, per essere vissuto, per essere messo in vigore, e non

per restare nei libri o per essere considerato mera teoria.

Esso è realistico e la sua visione della vita è praticabilissima.

E’ questo il motivo per cui esso consente una poligamia condiziona-

ta e ristretta; se fosse stato interesse del genere umano fare a

meno di tale istituzione, DIO avrebbe certamente ordinato che

essa cessasse di esistere. E chi è più sapiente di DIO?

C’è una serie di motivi per cui 1’Islam permette la poligamia.

Non c’è bisogno di immaginare tali motivi o di far delle congetture.

Si tratta di motivi reali, che possono essere visti ogni giorno,

dappertutto. Esaminiamone alcuni.

1. In alcune società le donne sono più numerose degli uomini.

Ciò avviene in particolare nelle zone industriali e commerciali,

e anche in regioni che siano teatro di conflitti bellici. Ora,

se una società musulmana si trova a far parte di tale categoria

e se 1’Islam dovesse proibire la poligamia e limitare a una

sola moglie il matrimonio legale, che cosa farebbero le donne

non sposate? Dove e come potrebbero trovare la compagnia che

la natura le spinge a desiderare? Dove e come potrebbero tro-

vare comprensione, amore, appoggio e protezione? Le impli-

cazioni del problema non sono semplicemente fisiologiche; so-

no anche morali, sentimentali, sociali, affettive, naturali.

Ogni donna normale -anche se lavora nel mondo degli affari

o all’estero o nel servizio di controspionaggio- desidera una sua

casa, una famiglia. Ha bisogno di qualcuno di cui occuparsi

e di qualcuno che si occupi di lei. Desidera svolgere una fun-

zione sociale e famigliare. Anche se! consideriamo la cosa da

un punto di vista strettamente fisiologico, la implicazioni

sono tuttavia molto serie e noi non le possiamo ignorare; al-

trimenti, i complessi psicologici, gli esaurimenti nervosi, il

disgusto sociale e l’instabilità mentale

sarebbero i risultati dei problemi lasciati insoluti. Le di-

mostrazioni cliniche di tutto ciò sono sovrabbondanti.

Questi desideri naturali e aspirazioni sentimentali devono

trovare una realizzazione. L’esigenza di appartenere a qualcu-

no, di prendersi cura di qualcuno, di esser oggetto di cura

da parte di qualcuno, devono essere soddisfatte in un modo o

nell’altro. In una tale situazione le donne non trasformano

la loro natura nè conducono una vita di tipo angelico. Sen-

tono invece che hanno ogni diritto a godere della vita e ad

avere la parte che loro spetta. Se non possono averla in ma-

niera lecita e decente, non mancano di trovare altre vie, ben-

chè rischiose e precarie. Pochissime sono le donne che posso-

no fare a meno di una compagnia maschile permanente e sicura.

La stragrande maggioranza delle donne nubili, in una tale so-

cletà, trova la maniera di incontrare gli uomini. Organizza-

no ricevimenti, cocktails, e così via. I1 risultato di questa

caccia disperata non è sempre morale o decente. Un uomo sposa-

to può rivolgersi a qualche donna e questa cercherà di farlo

suo, in maniera legale o altrimenti. Qualche donna può anche

attrarre un uomo, che può trovarsi demoralizzato o depresso

per una qualche ragione. Quest’uomo cercherà di avere rap-

porti intimi con lei, più o meno nascostamente,

con le garanzie della legge o al di fuori di queste. Ciò avrà

sicuramente degli effetti gravi sulla vita famigliare dell’uomo

sposato in questione e rovinerà dall’interno la morale della

società. Le mogli saranno abbandonate o trascurate; i figli

saranno abbandonati; le faniglie si dissolveranno e così via.

La donna che incontra un compagno in tali circostanze non

ha sicurezza nè dignità nè diritti di alcun genere? 11 suo com-

pagno, o il suo amante professionale, può essere accanto a lei,

mantanerla, frequentare la sua casa recandole doni, esser pronto

a riversare su di lei espressioni di amore appassionato e roman-

tico. Ma qual’è la garanzia che essa ne trae? Come può essa

impedire che egli se ne vada quando gli pare e l’abbandoni proprio

nel momento in cui la sua presenza sarebbe più necessaria e la

sua compagnia più desiderata? Che cosa gli inpedirà di disatten-

dere queste esigenze? La morale? La coscienza? La legge? Nulla

di tutto ciò sarà di alcun aiuto; la morale è andata a quel paese

quando ha avuto inizio questo genere di relazione intima; la coscien-

za è rimasta paralizzata quando i due si sono concesso que-

sto rapporto contrario a tutte le regole di DIO e dell’uomo; la

logge della società non riconosce relazioni intime al di fuori

di quelle con la propria moglie. Cosi, l’uomo può godere di questa

facile compagnia finchè lo desidera e una volta che i suoi senti-

menti si sono raffreddati può andare a cercarsi un’altra donna e

ripetere 1o stesso dramma senza responsabilità o obblighi da parte

sua.

La donna che ha avuto questa esperienza può essere ancora

attraente e piacevole o piena di desiderio. Può anche cercarsi

un altro uomo e fare una seconda prova. Ma potrà riceverne

sicurezza, garanzia, dignità, diritti? Continuerà a percorrere

il medesimo circolo vizioso, cacciando e sperando di essere caccia-

ta. I1 suo fardello acquisterà sempre maggior peso, specialmente

se ci sono dei figli di mezzo. Alla fine sarà dimenticata da tutti.

Ciò non si addice alla dignità umana o alla delicatezza femminile.

Qualunque donna, in questa situazione, è destinata a diventare

o una malata di nervi o una ribelle animata dal risentimento e

dall’avversione per la morale.

D’altronde, nessuno può pretendere che tutti gli uomini spo-

sati siano felici, contenti e soddisfatti del loro matrimonio.

Sia per colpa sua o per colpa di sua moglie, il marito infelice

cercherà un’altra compagnia e chiederà comprensione a

qualche altra donna. E’ facile che sia così quando le donne sono

piu numerose degli uomini. Se ciò non può essere ottenuto per

una via onesta, sarà per altri mezzi, col risultato di rapporti

intimi caratterizzati dall’immoralità e dall’indecenza, rapporti

che possono comportare prole illegittima, aborti e altri innume-

revoli effetti negativi. Sono cose brutte e amare, ma si tratta

di questioni reali e scottanti. Devono quindi essere risolte in

un modo che dia garanzie all’individuo, maschio o femmina, e

salvaguardi la società.

La soluzione che 1’Islam offre sotto questo riguardo è il

permesso, dato al marito infelice e insoddisfatto, di sposare una

seconda moglie e vivere con lei alla luce del sole, in maniera

responsabile e adempiendo egualmente a tutti i doveri verso la

prima e la seconda moglie. In questo nodo, le donne nubili

possono soddisfare le loro esigenze, realizzare i loro desideri,

le loro aspirazioni legittime e i loro appetiti naturali.

L’Islam dà loro il permesso di unirsi agli uomini in matrimonio

e di godere di tutti i diritti e privilegi di cui godono le mogli

legittime. In tal modo 1’Islam non cerca di scansare la

questione o di ignorare il problema. Esso è realistico e franco,

preciso e pratico. La soluzione offerta dall’Islam è legale,

decente e benevola. L’Islam suggerisce questa soluzione perché

esso non potrà mai tollerare l’ipocrisia nei rapporti umani.

Esso non può accettare come lecito e morale l’atteggiamento di

un uomo che secondo la legge è sposato con una sola moglie e

nella pratica ha rapporti intimi con altre donne, rapporti che

rimangono segreti. D’altronde, 1’Islam è nemico mortale

dell’adulterio e non può ammetterlo. Il castigo per gli adulteri

e le adultere può arrivare alla pena capitale, quella per i for-

nicatori consiste nel frustare ciascuno di loro con cento staffi-

late. Per l’ipocrisia, l’infedeltà e l’adulterio, che sono proi-

biti, non c’è altra alternativa se non la concessione della poli-

gamia legale. E questo è quanto 1’Islam ha fatto, con le norme

e condizioni suddette.

Se alcuni ritengono che ciò sia inaccettabile, devono ricorrere

ad altre alternative non accettate o comunque non particolarmente

favorite dall’Islam. E se qualcun altro può esercitare

il controllo su di sè e può disciplinarsi sotto ogni riguardo,

allora non c’è bisogno di poligamia. Lo scopo principale del1’Islam

è di garantire la dignità e la sicurezza della persona e di

proteggere l’integrità e la morale della società.

Qualcuno ora si potrà chiedere che cosa sia meglio per una

società di questo genere. E’ bene lasciare che il caos e la con-

dotta irresponsabile rovinino le basi stesse della società, o

è meglio ricorrere alla soluzione islamica e applicarla?

E’ interesse della società ignorare i problemi sociali più scottan-

ti, tollerare l’ipocrisia e l’indecenza, ammettere l’adulterio e

i rapporti intimi clandestini? E’ una cosa sana sopprimere

i legittimi desideri e gli appetiti naturali di uomini e donne,

soppressione che nella realtà non può essere efficace e che li può

solo portare a sbocchi illeciti e immorali? Considerata che

sia da un punto di vista sociale o morale o umano o spirituale o

da qualunque altro punto di vista, la questione potrà esserc ri-

solta solo nel senso che per la società e di gran lunga meglio

consentire ai singoli di unirsi su una base legale e in maniera

responsabile, con la salvaguardia della legge e sotto la

superstisione delle autorità competenti.

Anche se consideriamo la cosa dal punto di vista della donna,

apparirà evidente che con questa soluzione l’Islam garantisce

alla donna il dovuto rispetto, le assicura diritti e integrità,

riconosce il suo legittimo desiderio di una compagnia maschile,

le dà spazio nella società cui essa appartiene, le dà tutte le

possibilità di occuparsi di qualcuno che le sia

caro a di ricevere le cure di qualcuno. Ciò può suonare sgrade-

vole a una donna che abbia già un marito e non possa immaginare

che un’altra donna abbia accesso all’amore e alla protezione di

lui, nè possa concepire di dover dividere con una seconda moglie

lo tenerezze e l’affetto del marito. Ma quali sono i sentimenti

delle altre donne, quelle che non hanno un marito o un

compagno sul quale fare affidamento? Dobbiamo ignorare la loro

esistenza e credere che non abbiano diritto ad alcun genere

di sicurezza e soddisfazione? Se le ignoriamo, sarà questo a

risolvere il loro problema o a dar loro qualche soddisfazione?

Che sentimenti e che reazioni avrebbe questa moglie qualora

fosse lei a trovarsi in una situazione simile a quella delle

donne senza un compagno? Non desidererebbe forse di apparte-

nere a qualcuno e di essere rispettata e considerata? Non

accetterebbe eventualmente un marito “in comune”, se non po-

tesse averne uno tutto per sè? Non sarebbe più felice, aven-

do una qualche protezione e sicurezza, anzichè restarne total-

mente priva? Che cosa accadrebbe a lei e ai suoi figli, se

suo marito venisse attratto da una di quelle donne “in sovrap-

piu”, a un cocktail o a una festa danzante? Che ne sarebbe

di lei qualora egli abbandonasse la famiglia o trascurasse

le proprie responsabilità per dedicarsi completamente alla

nuova attrazione? Come si sentirebbe qualora venisse a sapere

che l’unico uomo della sua vita ha dei rapporti con altre

donne e tiene clandestinamente un’amante o frequenta qual-

che prostituta? Un uomo di tal fatta non è solo un fallimento

ma anche una minaccia. E’ ignobile e perverso. Sicuro! Ma

il riconoscimento di tali qualità non reca nessun vantaggio

a chi ha a che fare con lui. E’ la donna -la moglie legittima

cosi come la compagna illegittima- a soffrire di un simile

stato di cose. Non è meglio, dunque, che entrambe le donne

partecipino in giusta misura delle cure di quell’uomo e abbiano

parimenti accesso alla sua compagnia, essendo entrambe ugualmente

protette dalla legge? Un uomo del genere, in realtà, non è

più il marito di una sola moglie. E’ uno spregevole ipocrita,

ma il male è fatto e l’anima ne risente. E’ per proteggere

tutte le parti in causa, per combattere l’immoralità,

per prevenire un danno di questo genere e per salvare le anime

dagli oltraggi, che 1’Islam interviene con benevolenza e con-

sente all’uomo sposato di sposarsi un’altra volta, se c’è una

buona ragione o una giustificazione.

2. In alcuni casi, 1a moglie non è in grado di avere figli,

per un motivo o per un altro. Per avere una vita famigliare

nel vero senso della parola e contribuire alla continuità della

specie umana, è fondamentale la presenza dei figli. Oltre a ciò,

questo è uno degli scopi piu importanti del matrimonio e l’uomo

desidera per natura di avere dei figli che preservino il suo

nome e rafforzino i vincoli familiari. In una situazione del

genere, l’uomo ha ordinariamente una o tre alternative:

a) dimenticare e reprimere il suo naturale desiderio di

aver figli; b) ripudiare la moglie sterile; c) adottare dei

bambini e dar loro il proprio nome.

Nessuna di queste alternative si adatta alla concezione

islamica della vita e della natura. L’Islam non incoraggia nè

approva la repressione dei desideri legittimi e delle aspira-

zioni naturali. Esso aiuta invece a realizzare queste aspira-

zioni e questi desideri in maniera decente e lecita, perché

il ricorso alla repressione, in tal caso, non fa parte del suo

sistema. In tali circostanze il ripudio non è giustificabile,

perché non è colpa della donna il non poter avere figli. Inol-

tre, il ripudio è fra le cose lecite la più detestabile agli

occhi di DIO ed è permessa solo quando non vi sia altra alternativa.

D’altronde, la moglie può aver bisogno dell’aiuto e della compagnia

di suo marito. Sarebbe crudele abbandonarla quando è bisognosa e

disperata e quando non ha nessuno che si interessi di lei, dal

momento che non è in grado di aver figli.

Anche l’adozione è fuori discussione, perché 1’Islam ordina

che ogni bambino venga chiamato col nome del suo vero padre e che,

qualora tale nome sia sconosciuto, sia chiamato fratello nella fe-

de (Qur’an, 33, 4-5). Ciò, naturalmente, non significa che un bam-

bino privo di padre conosciuto o di qualcuno che si occupi di lui

debba soffrire di privazioni o di mancanza d’affetto. Lungi da ciò.

Significa solo che l’adozione, così come viene praticata attualmente,

non è il modo migliore per dare a quel bambino una vita sicura e

prospera. Nessuno può sostituirsi in maniera perfetta al vero padre

o alla vera madre. I1 corso quotidiano degli eventi, le procedure

e i casi legali complicati, 1e liti tra famiglie testimoniano

che l’adozione non risolve mai il problema. Quanti sono oggi nei

tribunali i casi nei quali i veri genitori chiedono la restituzio-

ne dei loro figli, che sono stati adottati da famiglie estranee e

sono stati introdotti in ambienti diversi? Fino a quando può un

padre o una madre normale vedere il proprio figlio in una casa e-

stranea? Fino a quando possono affidare a genitori fittizi il com-

pito di allevare il loro figlio nel modo giusto e di dargli la cura

dovuta? Come si sentirà il ragazzo quando crescendo si renderà con-

to che i suoi veri genitori lo hanno ceduto ad altri e che

ha avuto dei genitori putativi? Come reagirà quando scoprirà che

i suoi veri genitori sono degli sconosciuti o che sua madre 1o ha

ceduto per paura della miseria o per vergogna o per mancanza di

sicurezza? Fino a che punto il bambino adottato è amato dagli altri

membri della famiglia che lo ha adottato? Hanno piacere, costoro,

che un bambino estraneo prenda il loro stesso nome de erediti i beni

di cui essi sono gli eredi potenziali? Che cosa proveranno quelli

che lo hanno adottato quando i veri genitori chiederanno la resti-

tuzione del loro figlio o quando il ragazzo stesso vorrà ricongiun-

gersi ai suoi genitori autentici? Tutto ciò comporta molte compli-

cazioni. L’istituto dell’adozione è indubbiamente poco sano e può

provocare molto danno al bambino, ai genitori (putativi a reali),

agli altri membri della famiglia che ha adottato, alla società in

generale. L’adozione è una delle cause cha maggiormente incoraggia-

no molti individui a indulgere in attività e rapporti irresponsabili.

Ai giorni nostri è diventata un commercio. Vi sono molte persone

che mettono in “vendita” i loro bambini, come viene riportato dalla

stampa. E ciò non accade nelle giungle dell’Africa o dell’Asia:

avviene proprio qui da noi, in Canada e negli USA. A causa di tutto

questo, 1’Islam non accetta un tale istituto nè vede di buon occhio

tale pratica fra i Musulmani (cfr, Qur’an, 33, 4-6).

Scartate queste tre alternative per le ragioni esposte più

sopra, 1’Islam offre la propria soluzione. Esso consente a un uomo

che si trovi in una tale situazione di risposarsi, di soddisfare le

suo esigenze naturali e contemporaneamente tenersi la moglie sterile,

la quale probabilmente ha ora bisogno di lui più di prima. Questa

è una concessione, una soluzione che un uomo disperato può adot-

tare, in luogo dell’adozione, del ripudio o dell’innaturale

repressione delle proprie aspirazioni. E’ un altro caso nel quale

il risposarsi costituisce 1a miglior scelta possibile, un’altra

via d’uscita da una situazione difficile, per aiutare gli uomini

a vivere una vita normale e sicura sotto ogni riguardo.

3. Vi sono casi e momenti nei quali la moglie non è in grado

di adempiere ai suoi doveri coniugali. Può non essere in grado

di essere la compagna piacente che dovrebbe o che vorrebbe.

Può trovarsi in uno stato in cui non riesca a dare al marito tutto

l’amore, la soddisfazione e l’attenzione che egli merita e desidera.

Ciò può accadere ed effettivamente accade. Non è sempre colpa della

moglie: può essere anche un fatto imputabile alla natura. Può

trattarsi di una lunga malattia, di un periodo di degenza, o anche

di indisponibilità periodica. Non tutti gli uomini possono

avere la pazienza necessaria o esercitare l’autocontrollo o adot-

tare una condotta angelica. Alcuni cadono nel peccato dell’immo-

ralità, dell’inganno, dell’ipocrisia e dell’infedeltà. Esistono

casi in cui alcuni mariti si innamorano delle cognate o delle nu-

trici o delle inservienti che vengono in casa a badare

alla famiglia durante la malattia della moglie o durante il suo

periodo di degenza. E’ accaduto spesso che, mentre le mogli

erano sottoposte a difficili operazioni chirurgiche o stavano

partorendo, i loro mariti vivevano esperienze romantiche con altre

donne. La sorella o l’amica della donna ammalata è il personaggio

più frequente in tale dramma. Con tutte le migliori intenzioni,

forse, essa viene ad aiutare la sorella o l’amica ammalata e a

badare ai bambini o alla casa per un dato periodo: di qui 1e cose

si sviluppano e si complicano. Quando la moglie è ammalata a

casa o all’ospedale, il marito si sente solo o depresso. L’altra

donna presente in casa, si tratti della sorella della moglie o

della sua amica, ritiene che rientri nel suo compito mostrare al

marito la propria simpatia e un pò di comprensione, che può esser

sincera e onesta, così come può essere diversamente. Alcuni uo-

mini o donne sfruttano questa semplice manifestazione

di simpatia e la usano per i loro scopi. I1 risultato è

talvolta un cuore infranto, e probabilmente anche una famiglia

infranta.

Problemi di questa specie non sono nè immaginari nè rari.

Si presentano spesso alla gente. I giornali parlano

talvolta di tali questioni. Anche le udienze dei tribunali sono

una prova di questa realtà. L’agire dell’uomo sotto questo

rispetto può esser chiamato meschino, immorale, indecente, vizioso

ecc. Sicuramente! Ma questo risolve il problema? Serve a cam-

biare lo cose o a mutare la natura umana? L’azione è compiuta

l’ingiuria è commessa ripetutamente, un problema scottante esige

una soluzione praticabile e decente. I legislatori possono essere

soddisfatti di una condanna esemplare di un uomo del genere e della

sua azione? Devono permettere che mandi in rovina la propria inte-

grità e distrugga le basi morali della società? Devono ammettere

che l’ipocrisia e l’immoralità si sostituiscano all’o-

nestà o alla fedeltà? I divieti e le condanne non hanno impedito

ad alcuni uomini di commettere l’offesa o non hanno ravvivato 1a

loro coscienza. Anzi, hanno dato via libera all’ipocrisia, all’in-

fedeltà clandestina e all’irresponsabilità, cose contro le quali

1a legge e i legislatori non possono far niente.

Ora 1’Islan non può non far niente. Non può scendere a com-

promessi circa la morale o tollerare l’ipocrisia e l’infedeltà.

Non può ingannare sè stesso o l’uomo con soddisfazioni fasulle e

formali. Nè 1’Islan può negare l’esistenza del problema o sem-

plicemente ricorrere alla condanna e alla proibizione, perché

ciò non attenua il danno. Per salvare un uomo di tal fatta

dalla sua propria anima, per proteggere la donna che ha a che fa-

ra con lui (si tratti di sua moglie o della sua amante clande-

stina) contro le complicazioni non necessarie, per mantenere l’in-

tegrità morale della società, per ridurre il male al minimo, 1’I-

slam ha concesso il ricorso alla poligamia con le riserve o alle

condizioni menzionate più sopra. Ciò deva essere applicato come

misura d’emergenza ed è certamente una cosa molto piu sana della

monogamia puramente nominale e dei rapporti irresponsabili fra

uomo e donna. Uomini e donne che si trovino in una situazione

disperata o in un pasticcio inestricabile possono ricorrere a

questa soluzione. Se però esiste il timore dell’ingiustizia e

del danno contro una delle parti, allora la regola è la monoga-

mia.

4. La natura stessa esige certe cose e azioni dell’uomo in par-

ticolare. E’ l’uomo che ordinariamente compie viaggi

d’affari e stà lontano da casa per diversi periodi, nel corso di

viaggi lunghi o brevi, nel territorio nazionale o all’estero.

Nessuno può assumersi la responsabilità di accertarsi che tutti

gli uomini in tali circostanze rimangano fedeli e casti. L’espe-

rienza insegna che la maggior parte degli uomini cadono e com-

mettono atti immorali con donne estranee durante il periodo di

assenza da casa, che può durare mesi o anni. Alcuni individui

sono deboli e non possono resistere nemmeno alle tentazioni più

facili da respingere. Come risultato, cadono in peccato e ciò

può causare una rottura nella famiglia. Questo è un altro caso

in cui si può applicare una moderata poligamia. E’ molto

meglio per un uomo di questo genere avere una seconda casa

con una seconda moglie legale, che esser libero di commettere

azioni immorali e irresponsabili. Ciò è molto meglio anche per

la moglie; quando sa che suo marito è legato da vincoli legali

e da principi morali nei suoi rapporti con un’altra donna, mol-

to probabilmente si irriterà meno di quando

egli gode della medesima intimità in altra maniera. Naturalmen-

te la moglie non gradisce che il suo uomo venga condiviso da

un’altra donna. Ma quando si trova in una situazione nella quale

l’uomo deve scegliere fra l’essere legalmente responsabile e

moralmente vincolato e, dall’altra parte, l’unirsi illecitamente

e immoralmente con un’altra donna, allora la moglie sceglierà

sicuramente la prima alternativa e accetterà la situazione.

Comunque, se la moglie e danneggiata o i suoi diritti vengono

violati, può sempre appellarsi alla legge o ottenere

il divorzio, se questo è il suo interesse.

Applicando la poligamia islamica a questo caso, si salva-

guarderanno l’integrità dell’uomo, la dignità della seconda donna

e i valori etici della società. Questi casi non hanno bisogno

di essere approfonditi. Sono dati di fatto nella vita di tutti

i giorni possono essere rari, ma la pratica della poligamia fra

i Musulmani è ancor più rara. I Musulmani che ricorrono alla

poligamia sono certamente più rari dei mariti e delle

mogli infedeli che vivono nelle società monogamiche.

Benchè sia rischiosa e contingente in molti dei suoi requi-

siti preliminari, come si è già spiegato, la poligamia è di gran

lunga meglio della negligenza e dell’adulterio, dell’ipocrisia e

della mancanza di sicurezza, dell’immoralità e dell’indecenza.

Essa aiuta gli uomini e le donne a risolvere i loro difficili

problemi su una base di realismo e di responsabilità. Essa ri-

duce al minimo molte complicazioni psicologiche, naturali ed e-

mozionali della vita umana. E’ una misura precauzionale da ap-

plicare nell’interesse di tutte le parti in causa. Tuttavia essa

non costituisce affatto, nell’Islam, un articolo di fede nè si

tratta di un’ingiunzione; è semplicemente un permesso da parte di

DIO, una soluzione per alcuni dei più difficili problemi nei

rapporti umani. I Musulmani ritengono che la poligamia legale

e condizionata sia preferibile ad altri tipi di condotta che

ai nostri giorni vengono adottati da molti

uomini, uomini che vanno orgogliosi del matrimonio

formale e della monogamia superficiale. La posizione del Mu-

sulmano è questa: in circostanze normali, la monogamia non solo

è preferibile, ma è la norma. Diversamente, la poligamia può

essere presa in considerazione e applicata se è necessario.

Per completare la discussione, è opportuno esaminare i ma-

trimoni del Profeta Muḥammad. Questi matrimoni non costituisco-

no un problema per un Musulmano che intenda il carattere ideale

del Profeta e le circostanze in cui ebbero luogo i suoi matrimoni.

Spesso però tali matrimoni impediscono ai non musulmani di com-

prendere la personalità del Profeta e inducono a conclusioni ir-

responsabili e premature, le quali non giovano al credito del-

1’Islam o del Profeta. In questa sede non trarremo le nostre

conclusioni nè denunceremo quelle di altri. Presenteremo certi

fatti e lasceremo giudicare i lettori.

1. L’istituzione del matrimonio come tale gode nell’Islam di

un’elevata considerazione. E’ altamente raccomandabile ed es-

senziale per una sana sopravvivenza della comunità.

2. Muḥammad non disse mai di essere immortale o divino. Più

d’una volta mise l’accento sul fatto che egli era un morta-

le scelto da DIO per consegnare all’umanità il Messaggio divino.

Per quanto esemplare e unica nel suo genere sia sta-

ta la sua vita, egli visse e morì come un uomo. Il matrimonio,

perciò, fu per lui una cosa naturale, non un atto eretico o con-

dannabile.

3. Egli visse in un clima estremamente caldo, dove i desideri

fisici gravano pesantemente sull’uomo, dove gl’individui

raggiungono la maturità fisica in età assai precoce, dove la

facile soddisfazione era una cosa comune fra la gente

d’ogni categoria. Nondimeno, Muḥammad non toccò mai donna fin-

chè non raggiunse i venticinque anni, età alla quale si sposò

per la prima volta. In tutta quanta 1’Arabia egli era noto per

il suo carattere impeccabile ed era chiamato Al Amin, epiteto

che designa l’elevatissimo rango della sua etica.

4. I1 suo primo matrimonio, avvenuto in un’età che per quella

zona era eccezionalmente avanzata, fu quello con Khadija, una

gentildonna due volte vedova che aveva quindici anni più di lui.

Fu lei stessa a sollecitare il contratto di matrimonio ed egli

accolse la proposta nonostante l’età più avanzata della moglie

e nonostante che ella fosse vedova due volte. Alla sua età,

Muḥammad avrebbe potuto agevolmente trovare molte ragazze più

carine, molte mogli più giovani ai lui, se fosse stato un uomo

dominato dalle passioni o dalla ricerca dei godimenti fisici.

5. Con questa sola moglie egli visse finchè raggiunse i cin-

quant’anni e da lei ebbe tutti i suoi figli, a eccezione di I-

brahim. Ella visse con lui finchè ebbe toccato i sessantacin-

que anni; finchè Khadija visse, Muḥammad non sposò nessun’altra

donna e non ebbe rapporti intimi con nessun’altra all’infuori di lei.

6. Quando proclamò il Messaggio di DIO, Muḥammad era sui

cinquant’anni e Khadija sui sessantacinque. Il Profeta e i

suoi seguaci dovevano ora affrontare di continuo persecuzioni

e pericoli. Nel frattempo Khadija morì. Dopo la morte di lei,

egli rimase senza moglie per qualche tempo. Poi ci fu Sawdah,

che nei primi anni delle persecuzioni si era rifugiata con suo

marito in Abissinia. Al ritorno in patria, il marito morì e

Sawdah aveva bisogno di un uomo che la proteggesse. La cosa

più naturale per lei era di rivolgersi al Profeta, per la

missione del quale suo marito era morto. I1 Profeta estese su

di lei 1a sua protezione e la sposò. Ella non era particolar-

nente giovane o bella e piacente. Era una semplice vedova dal

carattere vivace e rilassato. Più tardi, nel medesimo anno,

il Profata fece una proposta di matrimonio a una ragazza di

sette anni, Aishah, figlia del suo caro compagno Abu Bakr.

I1 matrimonio venne consumato solo qualche tempo dopo l’e-

migrazione a Medina. I motivi di questi due matrimoni, è

più che evidente, non sono certo da ricercarsi nella passione e

nell’attrattiva fisica. Comunque, egli visse con le due mogli

cinque-sei anni, fino all’età di cinquantasei anni, senza spo-

sare nessun’altra donna.

7. Dal cinquantaseiesimo al sessantesimo anno, il Profeta

contrasse nove matrimoni in rapida successione. Negli ultimi

tre anni della sua vita non contrasse alcun matrimonio. La

maggior parte di questi matrimoni fu contratta in un periodo

di circa cinque anni nel quale egli stava passando la fase

più difficile della sua missione. Era a quel tempo che i Mu-

sulmani si trovavano impegnati in battaglie decisive ed erano

inpantanati in una serie indefinita di difficoltà d’ordine in-

terno ed esterno. Era il periodo in cui la legislazione isla-

mica era in via di formazione e venivano gettate le basi di

una società islamica. I1 fatto che Muḥammad fosse la figura

predominante in questi avvenimenti ed il centro attorno al quale

essi si svolgevano, e che la maggior parte dei suoi matrimoni

avesso luogo in quel particolare periodo, è un fenomeno estre-

mamente interessante. Esso merita l’attenzione di storici,

sociologi, legislatori, psicologi ecc. Non può essere interpre-

tato semplicemente in termini di attrazione fisica e di passione

sensuale.

8. Muḥammad visse una vita estremamente semplice, austera,

sobria. Durante il giorno era l’uomo più attivo della sua

epoca, essendo egli capo di Stato, magistrato supremo, coman-

dante in capo dell’esercito, maestro ecc. contemporaneamente.

Di notte era l’uomo più devoto. Era solito trascorrere uno

o due terzi della notte vegliando in preghiera e in meditazio-

ne (Qur’an 73, 20). I1 suo mobilio consisteva in stuoie,

brocche, coperte e cose semplici di questo genere,

benchè fosse il re e il capo supremo dell’Arabia. La sua

vita era così severa ed austera, che le sue mogli una volta

lo esortarono alle comodità, senza però riuscirvi (cfr. Qur’an

33, 48). Evidentemente non era, la sua, la vita di un uomo

passionale e sensuale.

9. Le mogli che egli si prese erano tutte vedove o ripudiate,

a eccezione li una ragazza giovanissima, Aishah. Nessuna di

queste donne vedove o ripudiate era particolarmente nota per

il suo fascino o le sue bellezze fisiche. Alcune di loro erano

più vecchie di lui e praticamente tutte cercavano da lui pro-

tezione e difesa o gli erano state date come doni e lui le

aveva prese come mogli legittime.

Questo è lo sfondo generale dei matrimoni del Profeta;

non se nè può certo trarre l’impressione che tali matrimoni

rispondessero a esigenze fisiche o a pressioni sensuali. E’

inconcepibile pensare che egli si tenesse un così gran numero

di mogli per motivi di soddisfazione personale o di esigenze

fisiche. Chiunque, amico o nemico, dubiti dell’integrità, mo-

rale o dell’eccellenza spirituale del Profeta a motivo di questi

matrimoni deve trovare spiegazioni soddisfacenti per interro-

gativi come questi: perché si sposò per la prima volta a ven-

ticinque anni, dopo che non si era mai unito

con nessuna donna? Perchè scelse una donna rimasta vedova

due volte che aveva quindici anni più di lui? Perchè rimase

con lei fino alla sua morte, quando egli

aveva passato i cinquant’anni? Perchè accettò di sposare

tutte quelle donne vedove e ripudiate che non possedevano

particolari attrattive fisiche? Perchè condusse una vita

così austera e severa, mentre poteva vivere in maniera facile

e comoda? Perchè contrasse la maggior parte dei suoi matri-

moni nei cinque anni più impegnati della sua vita, quando

la sua missione e la sua carriera erano a una svolta? Come sarebbe

potuto riuscire a essere quello che fù, se fosse stato preso

dalla vita del harem e dalle passioni? Vi sono molti altri

interrogativi che potrebbero essere sollevati. La cosa non

può essere interpretata semplicemente in termini di amore

mondano e di desiderio erotico. C’è bisogno di un esame serio

ed onesto.

Esaminando a uno a uno i matrimoni di Muḥammad, si possono

trovare le autentiche ragioni dietro ciascuno di essi. Tali

ragioni possono essere classificate nella maniera seguente.

1. I1 Profeta venne al mondo per essere un modello ideale

per l’umanità e così agli fu in ogni aspetto della sua vita.

I1 matrimonio in particolare evidenzia questa sua funzione.

Egli fu il marito più dolce, il compagno più amoroso e delicato.

Egli si sottopose a tutte le prove dell’esperienza umana e ad

ogni esame morale. Visse con una sola moglie e con diverse mo-

gli, con mogli più anziane a con mogli più giovani, vedove e

ripudiate, piacenti e meno piacenti, illustri e umili; ma

in tutti i casi fu un modello di affabilità e di dolcezza.

Egli fu destinato a sperimentare tutti i vari aspetti della con-

dotta umana. Ciò può non essere sta-

to per lui un piacere fisico; fu una prova etica e un compito

umano, e un compito difficile.

2. Il Profeta venne a instaurare un codice etico e a garantire

ad ogni Musulmano la sicurezza, la protezione, l’integrità mora-

le e una vita decente. La sua missione fu messa alla prova nel

corso della sua vita e non rimase allo stadio fisso di dottrina.

Di solito egli assunse sopra di sè la parte più difficile e fece

la sua parte nel modo più scomodo. Guerre e persecuzioni lascia-

rono ai Musulmani un fardello di numerose vedove, orfani e donne

sule. Queste donne dovevano essere protette e mantenute dai Mu-

sulmani sopravvissuti. Fu sua pratica costante aiutare queste

donne a trovarsi una nuova sistemazione sposandosi coi suoi com-

pagni. Alcune di loro furono rifiutate dai compagni del Profeta

e altre cercarono la sua protezione e la sua garanzia personali.

Realizzando pienamente tali condizioni e sacrificandosi per la

causa dell’Islam, egli dovette fare qualcosa per alleviare la

loro condizione. Un modo per farlo consisteva nel prendersele

come mogli e accettare la sfida di gravi responsabilità. Così

egli fece e si tenne più d’una moglie contemporaneamente, il

che non era nè un divertimento nè una cosa facile. Dovette

prender parte attiva al reinserimento di quelle vedove, orfane

e ripudiate, perché non poteva chiedere ai suoi compagni di fare

cose che lui non ora pronto a fare o alle quali non era pronto

a prendere parte. Queste donne erano a carico dei Musulmani e do-

vevano essere mantenute tutte quante. Quello che egli fece,

dunque, fu la sua parte di responsabilità e come sempre la sua

parte fu la piu grande e la piu gravosa. Fu per questo che egli

ebbe più d’una moglie ed ebbe più mogli di qualunque suo compagno.

3. C’erano molte prigioniere di guerra catturate dai Musulmani

e bisognose di sicurezza e protezione. Esse non furono uccise

nè venne loro negato alcun diritto, nè sul piano generale del-

l’umanità nè su quello particolare dei rapporti

fisici. Anzi, vennero aiutate a sistemarsi mediante matrimoni

legali coi Musulmani, anzichè esser prese come concubine e con-

viventi ordinarie. Questo fu un altro fardello morale per i Mu-

sulmani e dovette essere portato comunitariamente, come respon-

sabilita di tutti quanti. Qui, ancora una volta, Muḥammad fece

la sua parte e si assunse le proprie responsabilità sposando due

di quelle prigioniere.

4. I1 Profeta contrasse alcuni dei suoi matrimoni per ragioni

socio-politiche. La sua principale preoccupazione era il futuro

dell’Islam. I1 suo desiderio più grande era di rafforzare i Mu-

sulmani mediante ogni sorta di relazioni. Fu per questo che spo-

sò la figlia giovanissima di Abu Bakr, il suo primo Successore,

e la figlia di Omar, suo secondo successore. Fu per mezzo del

suo matrimonio con Juwairiah che guadagnò all’Islam l’appoggio

di tutta la tribù dei Bani Mustaliq e delle tribù loro alleate.

Fu mediante il matrimonio con Safiyah che neutralizzò una gran

parte dei giudei d’Arabia che gli erano ostili.

Accettando come moglie Maria la Copta, che era originaria del-

l’Egitto, stabilì un’alleanza politica con un re di primo rango.

Fu parimenti per motivi di amicizia con un sovrano vicino che

Muḥammad sposò Zaynab, inviatagli come dono dal Negus dell’Abis-

sinia, nel cui territorio i primi Musulmani avevano trovato sicu-

ro rifugio.

5. Contraendo la maggior parte di questi matrimoni, il Profeta

intendeva eliminare il sistema di rigida separazione sociale, le

vanità tribali e nazionali, i pregiudizi confessionali. Sposò

alcuna donne fra le più umili e le più povere. Sposò una ragazza

copta dell’Egitto; una giudea, diversa per religione e per razza;

una ragazza negra dell’Abissinia. Non si accontentò di insegnare

la fratellanza e la solidarietà, ma credette in quello che inse-

gnava e tradusse in pratica la dottrina.

6. Alcuni matrimoni del Profeta avvennero per ragioni legisla-

tive e per abolire certe consuetudini corrotte. Tale fu il suo

matrimonio con Zaynab, ripudiata dal liberto Zayd. Prima dell’I-

slam, gli Arabi non consentivano alle donne ripudiate di rispo-

sarsi. Zayd venne adottato da Muḥammad e chiamato suo figlio,

chè tale era l’usanza fra gli Arabi prima dell’Islam. Ma l’Islam abrogò

questa usanza e disapprovò questa pratica. Muḥammad

fu il primo a esprimere tale disapprovazione in maniera pra-

tica. Cosi egli sposò la ripudiata del suo figlio “adottivo”,

per mostrare che l’adozione non rende il ragazzo

adottato vero e proprio figlio del padre che lo adotta e anche

per dimostrare che il matrimonio è legittimo per le ripudiate.

Per inciso, questa Zeynab era cugina di Muḥammad e gli era stata

offerta in sposa prima che se la prendesse Zayd. Allora egli

l’aveva rifiutata, ma dopo il ripudio la accettò per i due sud-

detti motivi di legislazione: la liceità del matrimonio per le

divorziate e il reale statuto dei figli adottivi. L’episodio

di Zaynab è stato associato da alcuni con ridicole invenzioni

circa l’integrità morale di Muḥammad. Queste viziose invenzioni

non meritano neppure di essere qui considerate (cfr. Qur’an, 33,

36, 37, 40).

Sono queste le circostanze che accompagnano i matrimoni del

Profeta. Per i Musulmani non esiste il minimo dubbio sul fatto

che Muḥammad mantenne il più alto livello morale e fu in ogni

circostanza il perfetto modello dell’uomo. Invitiamo i non mu-

sulmani a una seria discussione dell’argomento. Essi possono

riuscire a raggiungere conclusioni valide.

4. Matrimonio e Divorzio (3)

Una delle nozioni più distorte è il reale significato del

matrimonio nell’Islam. In aggiunta alle sintetiche affermazioni

fatte nella nostra precedente panoramica, saranno utili alcune

altre osservazioni. I1 matrimonio nell’Islam non è un affare

negoziato fra due soggetti economici, nè si tratta di un contrat-

to secolare in cui benefici e obblighi materiali siano valutato

gli uni in rapporto agli altri. E’ qualcosa di solenne, qualcosa

di sacro e sarebbe erroneo definirlo in semplici termini fisici

o materiali. Carità morale, elevazione spirituale, integrità

sociale, stabilità umana, pace e misericordia costituiscono gli

elementi di maggior rilievo nel matrimonio. E’ un patto nel

quale DIO stesso è il primo Testimone

e la prima parte in causa;

è sancito in Suo nome, in obbedienza a Lui e in conformità con

la Sue prescrizioni. E un’unione umana onorevole, autorizzata

e sancita da DIO. E’ un segno delle Sue benedizioni e

misericordia abbondante, come Egli dice chiaramente nel Qur’an

(30, 21).

E’ evidente perciò che il matrimonio nell’Islam è un mezzo

di permanente rapporto e continua armonia non solo fra l’uomo

e la donna, ma anche fra i coniugi e DIO. E’ pure evidente che,

quando due Musulmani si accordano su un contratto matrimoniale,

essi hanno ogni intenzione di produrre un successo durevole,

nella buona e nella cattiva fortuna.

Per garantire questo risultato, 1’Islam ha stabilito certe

norme, al fine di dare ogni possibile assicurazione che il ma-

trimonio servirà pienamente al suo obiettivo. Fra tali norme vi

sono lo seguenti:

1. Le due parti devono acquisire una corretta conoscenza reci-

proca in un modo che non comporti una condotta immorale, ingan-

nevole o contraria al bene di entrambi.

2. L’uomo in particolare è esortato a scegliere la sua compa-

gna sulla base dei valori permanenti di quest’ultima: devozione

religiosa, integrità morale, buon carattere ecc. e non sulla base

della ricchezza, del prestigio famigliare, della mera attrazio-

ne fisica.

3. Alla donna è dato il diritto di accertarsi che l’uomo che la

richiede sia un compagno adatto a lei, degno del suo rispetto e

del suo amore, capace di renderla felice. Su tale base, essa

può respingere la proposta di un uomo da lei ritenuto al di

sotto del suo livello o inadatto a lei, perché diversamente

la donna si troverebbe ostacolata nell’adempimento dei suoi do-

veri di moglie e potrebbe anche dissolvere l’eventuale matrimonio.

(3) In rapporto con questo punto, cfr. la sezione sulla “Vita

famigliare”, più sopra.

4. La donna ha il diritto di chiedere dal pretenden-

te una dote conforme al proprio livello

di vita e proporzionata alle possibilità di lui. Se vuole

ignorare questo diritto e accettare il pretendente con una pic-

cola dote o con nessuna dote addirittura, può farlo. L’obbli-

go della dote è imposto all’uomo al fine di garantire alla donna

tutto quanto di cui essa ha bisogno; inoltre, in tal modo l’uo-

mo si dispone a far fronte alla propria responsabilità, economi-

camente e sotto ogni riguardo. La dote è anche un gesto simbo-

lico indicante che la donna sarà sicura e che l’uomo non cerca

guadagni materiali con la stipula del matrimonio. Ciò traccia

una linea di demarcazione fra quello che ciascuna parte

deve attendersi dall’altra e quello che invece non deve atten-

dersi.

5. I1 matrimonio deve essere reso pubblico e celebrato nel

modo più gioioso. Il libero assenso di ambo le parti è una

condizione essenziale, senza cui il matrimonio non è valido.

6. Ogni matrimonio, per essere legale, deve avvenire in presen-

za di due testimoni adulti e deve essere registrato nei documen-

ti ufficiali.

7. I1 completo mantenimento della moglie è dovere del marito.

Essa ha il diritto a ciò in virtù del matrimonio. Se avviene che

essa abbia una qualche proprietà, quest’ultima sarà sua prima

e dopo il matrimonio; il marito non ha alcun diritto alla ben-

chè minima parte della proprietà della moglie. Lo sco-

po di tutto ciò è di restringere il matrimonio ai suoi nobili

fini e di liberarlo da tutti gli obiettivi indegni.

Da tutte queste misure è possibile vedere come 1’Islam

abbia dato tutte le possibilità per fare del matrimonio un

dolce rapporto e un solido fondamento di una continua armonia

e di una pace permanente. Ma, in vista del fatto che la con-

dotta umana è mutevole e talvolta imprevedibile, 1’Islam assu-

me una visione realistica della vita e concede delle vie d’uscita

per tutti gli eventi inaspettati. I1 matrimonio, come è stato

detto, ha fini nobili e degni che debbono essere realizzati.

L’Islam non accetta e non riconosce nessun matrimonio che non

sia funzionale ed efficace. Non può esistere un matrimonio no-

minale e inutile. 0 i1 matrimonio è matrimonio fruttuoso, o

non è affatto. Il matrimonio è un patto troppo solenne per

essere stazionario o inefficace. Quindi, se non serve al proprio

scopo o non funziona come deve, è bene che abbia termine

con lo scioglimento legale,

in cui le parti in causa conservano i loro diritti. Questo

perché non ha senso mantenere un vincolo nominale e indegno

è perché bisogna impedire che l’uomo sia ostacolato da obbli-

ghi che non possono essere adempiuti.

Quando il matrimonio islamico, che si basa sulle norme sud-

dette ed è governato dalle precauzioni di cui si è parlato, non

funziona adeguatamente, devono esserci ostacoli molto seri,

qualcosa che non può essere risolto da una riconciliazione dei

coniugi. In una situazione del genere, lo scioglimento del

matrimonio può essere applicato. Esso è comunque la soluzione

estrema, perché viene definita dal Profeta come la cosa più

detestabile fra tutte quelle lecite al cospetto di DIO. Ma, pri-

ma di intraprendere questo passo definitivo e disperato, devono

essere fatti alcuni tentativi, nell’ordine seguente.

1. Le due parti in causa devono cercare di risolvere fra

loro le controversie e i problemi.

2. Se non ci riescono, dovranno intervenire due arbitri, uno

della famiglia del marito e uno della famiglia della mo-

glie, i quali avranno il compito di metter pace fra i coniugi

e appianare le loro divergenze.

3. Se anche questo tentativo fallisce, si può sciogliere il

matrimonio.

Perchè si possa sciogliere il matrimonio in una situazione

così difficile, la Legge islamica esige che su tale soluzione

vi sia accordo fra ambo le parti e garantisce a ciascuna di

esse il diritto di promuovere lo scioglimento del matrimonio.

La Legge islamica non concede tale diritto esclusivamente al-

l’uomo o esclusivamente alla donna. Entrambi possono eserci-

tarlo. Se una delle due parti non si sente sicura o felice

con l’altra, la quale arbitrariamente rifiuta di concedere lo

scioglimento del matrimonio o se la richiesta di scioglimento

è ritenuta giustificabile, il tribunale deve inter-

venire a aiutare la parte cui viene rifiutato

lo scioglimento del vincolo. E’ dovere degli amministratori

della Legge vedere che tutti i diritti siano preservati e che

il danno sia ridotto al minimo.

Dopo che la separazione dei coniugi ha avuto luogo, c’è

un periodo di attesa, in genere dai tre ai dodici mesi, nel

quale la donna è completamente mantenuta dall’ex marito. Essa

non può sposare un altro uomo prima che tale periodo sia espi-

rato. I1 periodo d’attesa offre ad ambedue un’altra possibilità

per riconsiderare la loro posizione in maniera più seria e de-

cidere sugli effetti della loro separazione. Se nel corso di

tale periodo essi desiderano ricongiungersi, hanno il permesso

di farlo. In realtà, sono incoraggiati a farlo, perché una

separazione di tal fatta normalmente li spinge ad apprezzarsi

meglio. Allorchè il periodo d’attesa è espirato, la donna è

libera di sposare un altro uomo. I due non hanno più nessun

obbligo reciproco.

Se poi vi sarà una nuova unione fra la donna e l’ex mari-

to, il loro matrimonio sarà un matrimonio del tutto nuo-

vo. Se i loro rapporti non migliorano, potranno ricorrere alla

medesima soluzione dello scioglimento del vincolo, dopo di che

potranno riunirsi in un nuovo matrimonio, se lo vorranno. Ma

se nemmeno questo secondo ricongiungimento ha successo, allo-

ra la separazione che avrà luogo sarà definitiva.

Concedendo la possibilità di sciogliere il vincolo matri-

moniale nel primo caso, l’Islam conferma che esso non può am-

mettere matrimoni infelici, freddi e stagnanti, perché questi

sono molto più dannosi di uno scioglimento del matrimonio.

Concedendo la possibilità di un secondo e di un terzo ricon-

giungimento dei coniugi, 1’Islam offre ogni possibilità

immaginabile per rendere saldo e fruttuoso il matrimonio.

Qui 1’Islam è pronto a far fronte a ogni genere di problemi e

a risolvere tutte le situazioni. Non mette in pericolo il

matrimonio, con la concessione della possibilità di sciogliere

il vincolo coniugale. Anzi, con tale misura esso lo rafforza,

poichè la parte che è in torto sa che la parte che subisce il

torto può liberarsene ricorrendo allo sciogli-

mento del vincolo. Essendo consapevoli che il matrimonio è

vincolante solo finchè è funzionale e fruttuoso, ambo le parti

fanno del loro meglio per far sì che il matrimonio consegua il

suo scopo, prima di commettere qualche azione che pregiudichi

la continuità del rapporto coniugale. Ciò fa si che

ciascuna parte abbia cura nello scegliere il coniuge e nel

comportarsi con lui nel corso del matrimonio.

Quando 1’Islam dichiara che lo scioglimento del vincolo

matrimoniale è ottenibile per mutuo consenso o per intervento

del tribunale su sollecitazione della parte che subisce il tor-

to, esso si pone saldamente a difesa della morale e della digni-

tà umana. Esso non costringe un essere umano a soffrire l’in-

giustizia e il danno derivanti da un coniuge infedele. Esso

non spinge gli esseri umani all’immoralità e all’indecenza.

Esso dice loro: o vivete insieme in maniera lecita e felice-

mente, oppure separatevi in maniera dignitosa e convenien-

te. Quella che è moralmente e umanamente la cosa più notevole

sotto questo rispetto nell’Islam, è che esso non costringe nes-

suno ad abbassare la propria dignità e a degradare la propria

moralità, per ottenere lo scioglimento del vincolo ma-

trimoniale. Per un Musulmano non è necessario “separarsi le-

galmente” dal coniuge per alcuni anni, prima che gli venga ri-

conosciuto lo scioglimento del vincolo. Ne tale scioglimento

dipende dalla condizione dell’adulterio. La “separazione lega-

le” imposta da molti sistemi giuridici può comportare e sicura-

mente comporta azioni immorali e indecenti. In una “separazione

legale” di questo tipo l’individuo non può nè godere dei propri

diritti nè adempiere ai propri obblighi. L’uomo o la donna sono

ufficialmente sposati, ma in quale misura possono godere della

vita coniugale? L’uomo “legalmente separato” da una parte è

soggetto a vincoli estremamente restrittivi, dall’altra è così

rilassato che non avverte nessuna restrizione. Non può ottenere

il divorzio e risposarsi, ma esiste qualche limitazione legale

ai rapporti extraconiugali che ha la possibilità di intrattenere?

Egli può stare insieme con chiunque gli pare, senza nessun con-

trollo e nessuna restrizione. Sono cose che avvengono ogni

giorno e non hanno bisogno di nessun approfondimento. Una “sepa-

razione legale” di questo genere può servire a ottenere prima

o poi il divorzio, ma quanto risulta costosa per la morale e

come è alto il prezzo che una società deve pagare per essa!

Questa è una cosa che 1’Islam non potrà mai accettare nè im-

porre, perché ciò violerebbe l’intero sistema di valori etici

caro all’Islam.

Considerando il caso dell’adulterio e la sua necessità in

alcuni sistemi perché vi sia una base per il divorzio, noi pos-

siamo solo dire questo: è umiliante per la dignità umana ed è

rovinoso per la morale che una persona debba commettere adulte-

rio o affermi di averlo commesso per ottenere lo scioglimento

del vincolo coniugale. IL punto di vista islamico circa l’adul-

terio è stato espresso più in alto. Ciò che comunque avviene

nella maggioranza dei casi è questo: la gente non divorzia perché

ha commesso adulterio o pretende di averlo commesso, ma commette

adulterio o pretende di averlo commesso al fine di ottenere il

divorzio, che altrimenti non sarebbe conseguibile. Che procedi-

mento mostruoso e perverso nelle relazioni fra gli esseri umani!

Questa è la posizione dell’Islam nella questione? So come

estremo rimedio bisogna ricorrere allo scioglimento del vincolo

matrimoniale, questa soluzione deve essere garantita con la digni-

tà e il rispetto necessari. Se 1’Islam viene applicato alla vita

coniugale, non vi sarà più spazio per la “separazione legale” o

per “l’adulterio” quali basi del divorzio. Nè vi sarà più quel

divorzio facile di tipo hollywoodiano, che nasce come estrema

reazione a un’estrema rigidità. Ogni

ordinamento che si applica alla natura umana deve essere reali-

stico ed equilibrato, deve comportare concessioni per

ogni circostanza e deve essere preparato a far fronte ad ogni

condizione. Altrimenti sarà autodistruttivo e privo di fondamen-

ti, cosa di cui 1’Islam è assolutamente esente (cfr. Qur’an,

2, 224-232; 4, 34-35; 4, 127-130).

Concluderemo questa discussione con un’osservazione finale.

Praticamente in ogni società e religione conosciuta esistono modi

per porre termine al matrimonio. Le percentuali di divorzio nel

mondo industriale aumentano vertiginosamente e le leggi sul divor-

zio vengono liberalizzate sempre più. Comunque, nell’Islam lo

scioglimento del vincolo matrimoniale resta un considerevole atto

morale. DIO raccomanda ai coniugi di essere dolci e pazienti

e ricorda loro come possa dispiacere a un uomo o a una donna

quello che nel proprio coniuge è bene e virtù. Ai coniugi e

garantito l’aiuto di DIO, se intendono stare insieme nel modo mi-

gliore. Se invece intendono dividersi, lo scioglimento del matri-

monio va effettuato senza intenzione di arrecare ingiuria o danno.

Se si dividono dignitosamente e onorevolmente, DIO garantisce loro

che li arricchirà con tutta la Sua misericordia infinita. Tutto

quanto il contesto coniugale, dal principio alla fine, si incentra

nella fede in DIO ed è orientato da essa. I versetti che trat-

tano dello scioglimento del vincolo coniugale non sono fredde

norme legali: essi cominciano o terminano con esortazioni etiche

di alto livello. I doveri morali delle due parti si estendono

ben al di là dello scioglimento del vincolo matrimoniale. In real-

tà, tutta quanta la questione viene in tal modo integrata in un

ordinamento altamente morale, sicchè lo scioglimento del matrimo-

nio viene correttamente considerato come un atto essenzialmente

morale.

5. Lo statuto della donna nell’Islam

Lo statuto della donna nell’Islam non costituisce affatto un,

problema. La posizione del Qur’an e dei primi Musulmani reca te-

stimonianza del fatto che la donna è d’importanza vitale per l’uo-

mo, almeno quanto l’uomo stesso, e che essa non è inferiore a lui

nè fa parte di una specie inferiore. Se non fosse stato per l’in-

flusso di civiltà estranee e per influenze esterne, tale questione

non sarebbe mai sorta fra i Musulmani. La condizione della donna

venne riguardata come pari a quella dell’uomo. Era una realtà

indiscussa, un dato di fatto, e nessuno quindi pensava che potesse

esistere una questione del genere.

Per capire che cosa 1’Islam abbia stabilito per la donna,

non c’è nessun bisogno di deplorare la situazione di quest’ultima

nell’era preislarnica o nel mondo contemporaneo. L’Islam ha dato

alla donna diritti e privilegi di cui essa non ha mai goduto in

altri sistemi religiosi o costituzionali. Lo si può comprendere

se si studia l’argomento nel suo insieme, in maniera comparativa,

anzichè parzialmente. I diritti e le responsabilità di una donna

sono pari a quelli di un uomo, ma non sono necessariamente gli

stessi. Parità e identità sono due cose completamente diverse.

Questa differenza è comprensibile perché l’uomo e la donna non

sono identici l’uno all’altrà, ma sono creati pari l’uno all’al-

tra. Se si tiene presente questa distinzione, non esiste proble-

ma. E’ praticamente impossibile trovare due uomini o due donne

identici.

Questa distinzione fra parità e identità è di importanza

fondamentale. La parità è desiderabile, giusta, buona; non co-

sì l’identità. Gli esseri umani non vengono creati identici,

bensì pari. Considerando una tale distinzione, non c’è spazio

per immaginare che la donna è inferiore all’uomo. Non esistono

basi per pretendere che essa sia meno importante di lui per il

fatto che i suoi diritti non sono esattamente gli stessi dell’uo-

mo. Se lo statuto della donna fosse stato identico a quello del-

l’uomo, essa sarebbe stata semplicemente una copia dell’uono,

cosa che invece non è. I1 fatto che 1’Islam le dia diritti pari

ma non identici- dimostra che esso la tiene nella dovuta con-

siderazione, la riconosce e le attribuisce una personalità

autonoma.

Non è nello stile dell’Islam dipingere la donna come un pro-

dotto del diavolo o la semenza del peccato. Nè il Qur’an fa del-

l’uomo il padrone della donna, alla quale non resta che sotto-

mettersi al suo dominio. E non è stato certamente 1’Islam a porre

la questione se la donna abbia o no un’anima. Nella storia del-

1’Islam nessun Musulmano ha mai posto in dubbio lo statuto

umano della donna o il suo possesso di un’anima e di altre nobili

qualità spirituali. Diversamente da altre credenze volgari, 1’I-

slam non attribuisce alla sola Eva il cosiddetto “peccato origi-

nale”. I1 Qur’an afferma chiaramente che sia Adamo sia Eva ven-

nero tentati; che sia l’uno sia l’altra trasgredirono la prescri-

zione divina; che il perdono di DIO venne garantito ad entrambi

dopo il loro pentimento; che DIO si rivolse a loro congiuntamen-

te (2, 35-36; 7, 19, 27; 20, 117-123). In realtà il Qur’an dà

l’impressione che Adamo fosse più da biasimare per quel “peccato

originale”, dal quale emergeva pregiudizio contro la donna e

sospetto per le azioni di lei. Ma 1’Islam non giustifica un tale

pregiudizio o sospetto, poichè sia Adamo sia Eva erano parimenti

in errore, sicchè, se dobbiamo biasimare Eva, dobbiamo biasimare

anche Adamo, in egual misura o anche di più (4),

(4) In rapporto con questa discussione, cfr. più sopra il concetto

di peccato.

Lo statuto della donna nell’Islam è qualcosa di unico, qual-

cosa di nuovo, qualcosa che non trova analogie in nessun altro si-

stema. Se guardiamo al mondo comunista dell’est o alle nazioni

democratiche dell’ovest, ci rendiamo conto che la donna non si tro-

va in una situazione felice. La sua condizione non è invidia-

bile. Essa deve lavorare sodo per vivere e talvolta può trovarsi

a svolgero il medesimo lavoro di un uomo, ma il suo stipendio è

inferiore. Essa godo di una libertà che in certi casi equivale

a licenza. Per trovarsi nella situazione in cui si trova oggi, la

donna ha lottato duramente per decenni e secoli. Per ottenere il

diritto allo studio e la libertà di lavorare e guadagnare, essa ha

dovuto fare grandi sacrifici e rinunciare a molti dei suoi di-

ritti naturali. Per affermare la propria condizione di essere u-

mano in possesso di un’anima, ha pagato un prezzo elevatissimo.

Tuttavia, nonostante tutti questi costosi sacrifici e queste lotte

dolorose, non ha acquisito quello che 1’Islam ha stabilito per 1e

donne musulmane con un decreto divino.

I diritti della donna dei tempi moderni non sono stati ri-

conosciuti volontariamente o per cortesia. La donna moderna ha

raggiunto la sua attuale posizione con la forza, non attraverso un

processo naturale o sulla base di un mutuo consenso o di insegna-

menti divini. Essa ha dovuto aprirsi il passo a forza e varie cir-

costanze sono sopraggiunte in suo soccorso. La diminuzione del-

l’elemento maschile nel corso delle guerre, la pressione delle

esigenzo economiche e la necessità di uno sviluppo industriale

hanno costretto la donna ad uscire di casa per lavorare, per

studiare, per combattere la lotta dell’esistenza, per mostrarsi

uguale all’uomo, per gareggiare con lui nella gara della vita.

La donna è stata costretta dalle circostanze e si

è costretta a sua volta, acquisendo in tal modo il suo nuovo sta-

tuto. Che tutte le donne si siano rallegrate del fatto che

tali circostanze stavano dalla loro parte e che si siano trovate

allegre e soddisfatte dei risultati di tale processo, è un altro

paio di maniche. Resta il fatto che, quali che siano i diritti

goduti dalla donna moderna, il livello di tali di-

ritti è inferiore a quello della controparte musulmana. Quello

che L’Islam ha stabilito per la donna, è quanto è a lei conforme

per natura: essa si trova completamente garantita e protetta

contro ogni circostanza avversa e contro ogni incertezza della

vita. Non c’è bisogno qui di approfondire il discorso sulla

condizione della donna moderna e sui rischi che essa corre gua-

dagnandosi da vivere e vivendo in maniera autonoma. Non c’è nem-

meno il bisogno di indagare sulle miserie e i retroscena che la

circondano, come risultato dei cosiddetti “diritti della donna”,

Nè intendiamo manipolare la situazione di molte famiglie infelici

che si sfasciano proprio a causa della “libertà” e dei “diritti”

di cui la donna moderna va fiera. La maggior parte delle donne

esercita oggi il diritto di libertà per uscire di casa senza ren-

der conto a nessuno, per lavorare e guadagnare, per pretendere di

essere uguale all’uomo; ma tutto questo, purtroppo, avviene a spese

delle loro famiglie. Tutto ciò è noto e scontato. Quello che

non è altrettanto noto, è 1o statuto della donna dell’Islam.

Nelle pagine seguenti cercheremo di riassumere la posizione

dell’lslam riguardo alla donna.

1. L’Islam riconosce la donna come compagna dell’uomo nella

procreazione di esseri umani, compagna di pari dignità.

L’uomo è padre, la donna è madre; ambedue sono essenziali per

la vita. I1 ruolo di lei non è meno vitale di quello di lui.

Grazie a questa unione, essa riceve

la parte che le è dovuta, sotto ogni riguardo; essa ha diritto

a quanto le spetta; essa ha le sue responsabilità; ha qualità

e umanità cosi come ne ha il suo compagno. Circa questa equa di-

stribuzione di compiti nella riproduzione della specie umana,

DIO dice:

0 esseri umani! In verità Noi vi abbiamo creati da una

sola coppia di un maschio e di una femmina e abbiamo

fatto di voi nazioni e tribù, affinchè poteste conoscervi

reciprocamente… (Qur’an, 49, 13; cfr. 4, 1).

2. La donna è pari all’uomo nell’avere responsabilità personali

e comunitarie e nel ricevere il dovuto compenso per le sue azioni.

Essa è riconosciuta come personalità autonoma, in pos-

sesso di qualità umane e degna di aspirazioni spirituali. La

sua natura umana non è nè inferiore nè laterale rispetto a

quella dell’uomo. Ambedue sono membri l’uno dell’altro, DIO

dice:

E il loro Signore ha accettato (le loro preghiere) e ha

risposto loro (dicendo): Io non farò mai che vada perduta

l’opera di uno di voi, sia maschio o femmina; voi siete

membri l’uno dell’altro… (3, 195; cfr. 9, 71; 33,

35-36; 66, 19-21).

3. La donna è pari all’uomo nell’acquisizione dell’istruzione

e della conoscenza. Quando 1’Islam prescrive ai Musulmani la

ricerca della conoscenza, esso non fa alcuna distinzione fra

l’uomo e la donna. Circa quattordici secoli or sono Muḥammad

dichiarò che la ricerca della conoscenza è un dovere che incom-

be su ogni Musulmano, maschio o femmina. Questa dichiarazione

fu molto chiara e venne applicata dai Musulmani nel corso della

storia.

4. La donna ha diritto quanto l’uomo alla libertà di espressio-

ne. Le sue opinioni fondate vengono prese in considerazione e

non possono essere disprezzate per il semplice fatto che chi le

formula appartiene al sesso femminile. Nel Qur’an e nella storia

dell’Islam si riferisce che la donna non solo espresse liberamen-

te la sua opinione, ma anche argomentò e partecipò a serie di-

scussioni col Profeta stesso e con altri capi musulmani (Qur’an,

58, 1-4; 60, 1O-12). Inoltre, vi sono state circostanze in

cui le donne musulmane hanno espresso il loro punto di vista

su argomenti giuridici di pubblico interesse contraddicendo i

Califfi, i quali accolsero le opinioni fondate di queste donne.

Un caso specifico si verificò durante il califfato di Omar Ibn

al-Khattab.

5. Gli annali storici narrano che delle donne parteciparono

alla vita pubblica coi primi Musulmani, specialmente in periodi

d’emergenza. C’erano donne solite accompagnare gli

eserciti musulmani nelle spedizioni militari, per curare i feriti,

preparare lew vettovaglie, fungere da ausiliarie e così via. Co-

storo non furono certamente tenute in reclusione nè vennero con-

siderate creature indegne e prive di anima.

6. L’Islam garantisce alla donna equi diritti nello stipulare

contratti, nell’intraprendere affari, nel guadagnare e nel posse-

dere in maniera indipendente. La sua vita, la sua proprietà, il

suo onore sono sacri come quelli dell’uomo. Se commette un rea-

to, la pena non è nè inferiore ne superiore a quella dell’uomo

che commetta il reato analogo. Se subisce un torto o un’ingiuria,

essa riceve la dovuta riparazione nella stessa misura a quella

che riceverebbe un uomo nella stessa circostanza (2, 178; 4, 45,

92-93).

7. L’Islam non stabilisce questi diritti in via teorica

per poi ignorarli. Esso ha preso ogni misura adatta a salvaguar-

darli e a metterli in pratica come articoli integrati della fede.

Esso non tollera affatto coloro che sono inclini al pregiudizio

contro le donne o alla discriminazione fra i due sessi. Più d’una

volta il Qur’an rimprovera coloro che ritengono la donna

inferiore all’uomo (16, 57-59, 62; 42, 47-50; 43, 15-19; 53, 21-

23).

8. Oltre a riconoscere la donna come essere umano autonomo

considerato essenziale quanto l’uomo alla sopravvivenza dell’u-

manità, 1’Islam le attribuisce una parte nell’eredità. Prima

dell’Islam, essa non solo veniva privata di tale parte, ma era

ritenuta lei stessa una proprietà che doveva essere ereditata

dall’uomo. Da proprietà trasferibile che era, 1’Islam ha fatto

di lei un’erede, riconoscendo in lei innate qualità umane. Sia

moglie o madre, sorella o figlia, essa riceve una certa parte

della proprietà del parente defunto, una parte che dipende dal

suo grado di parentela col defunto stesso e dal numero degli ere-

di. Questa parte è sua, e nessuno può togliergliela o diseredar-

la. Anche se il defunto avesse voluto privarla della sua par-

te redigendo un testamento in favore di altri parenti o comunque

di altri eredi, La Legge non ammette un’azione del genere. Ogni

proprietario ha il permesso di scegliersi gli eredi entro i li-

miti della terza parte della sua proprietà, sicchè non gli è

possibile ignorare i diritti di coloro che hanno i titoli per

essere eredi, uomini e donne. Nel caso dell’eredità,

ritorna la questione della parità e dell’identità. In linea

di principio, l’uomo e la donna hanno pari diritto a ereditare

la proprietà dei parenti defunti, ma le porzioni che essi

ereditano possono variare. In taluni casi l’uomo riceve due

porzioni laddove la donna ne riceve una sola. Ciò non significa

che all’uomo sia attribuita una preferenza o una supremazia a

scapito della donna. Le ragioni per cui l’uomo riceve di più

in questi casi particolari possono essere classificate nel modo

seguente.

Primo, l’uomo è la sola persona responsabile del completo

mantenimento della moglie, della sua famiglia e degli altri pa–

renti bisognosi. Egli ha per Legge il dovere di assumersi tutte

le responsabilità finanziarie e di mantenere in maniera adeguata

le persone che dipendono da lui. E’ inoltre suo dovere contri-

buire economicamente a tutte le giuste cause della sua società.

Tutti i pesi economici sono portati da lui solo.

Secondo: la donna, diversamente da lui, non ha responsabilità

economiche, fatta eccezione per una minima parte delle sue spese

personali, per gli oggetti di gran lusso che eventualmente

desideri possedere. Essa è finanziariamente al sicuro e sotto ga-

ranzia. Se è moglie, è il marito a sostentarla; se è madre, è il

figlio; se è figlia, è il padre; se è sorella, è il fratello; e

così via. Se non ha parenti dai quali dipendere, allora non esiste

problema di eredità, perché non c’è niente da ereditare e non c’è

nessuno che lasci qualcosa. Essa comunque non morirà di fame,

perché del mantenimento di una donna in tale situazione è responsa-

bile 1a comunità nella sua integrità, lo Stato. Essa può ricevere

un sussidio o un lavoro con cui possa guadagnarsi da vivere, e

tutto il denaro che ne ricaverà sarà suo. Essa non è responsabile

del mantenimento di chiunque altro all’infuori di lei stessa. Se

c’è un uomo che si trova nella sua condizione, questi sarà respon-

sabile della propria famiglia ed eventualmente dei parenti biso-

gnosi. Così nella situazione più difficile la responsabilità

economica della donna è limitata, mentre quella dell’uomo è illi-

mitata.

Terzo: quando una donna riceve meno di un uomo, non viene

privata di alcunchè per cui essa abbia lavorato. La proprietà

ereditata non è il risultato del suo lavoro. E’ qualcosa che pro

viene da una fonte neutra, qualcosa di addizionale o di extra.

E’ qualcosa per cui nè l’uomo nè la donna si sono dati da fare.

E’ una specie di sussidio, e ogni sussidio deve essere distribuito

secondo i bisogni e le responsabilità urgenti, specialmente quando

la distribuzione è regolata dalla Legge di DIO.

Ora, noi abbiamo da una parte un erede maschio, gravato di

ogni genere di responsabilità e di carichi finanziari. Dall’altra

abbiamo una donna con nessuna responsabilità econonica o al massimo

con una minima responsabilità economica. Davanti ai due c’è una

proprietà e un sussidio che deve essere distribuito per via di ere-

dità. Se priviamo completamente la femmina, si commetterà un’ingiu-

stizia nei suoi confronti, perché essa è parente del defunto. Ana-

logamente, se le diamo una parte uguale a quella del maschio, com-

metteremo un’ingiustizia nei confronti di quest’ultimo. Così, an-

zichè commettere un’ingiustizia nei confronti dell’una o dell’altra

parte, 1’Islam dà all’uomo una maggiore porzione della

proprietà ereditata, per aiutarlo a soccorrere alle necessità della

sua famiglia e a far fronte alle responsabilità sociali. Contem-

poraneamente, 1’Islam non dimentica la donna e le assegna una parte

con cui essa può soddisfare le sue esigenze personali. In

realtà, sotto questo rispetto 1’Islam è più benevolo verso la donna

che verso l’uomo. Quindi possiamo affermare che i diritti della

donna, considerati nel loro complesso, sono pari a quelli dell’uomo,

benchè non siano necessariamente identici (cfr. Qur’an, 4, 11-14,

176).

9. In alcuni casi di testimonianza in certi procedimenti civili,

si richiedno due uomini oppure un uomo e due donne. Anche quì,

non bisogna dedurne assolutamente che la donna sia inferiore all’uo-

mo. E’ una maniera per garantire i diritti delle parti processua

li, perché la donna, di norma, non ha nella vita pratica la stessa

esperienza dell’uomo. Tale mancanza d’esperienza può causa-

re una perdita a una delle parti in causa. Quindi la Legge richie-

de che accanto a un uomo rendano testimonianza almeno due donne.

Se una delle due testimoni dimenticherà qualcosa, sarà l’altra a

rammentarglielo. Se connetterà un errore dovuto a mancanza d’espe-

rienza, l’altra la aiuterà a correggersi. E’ questa una misura

precauzionale intesa a garantire transazioni oneste e rapporti

corretti fra le persone. Essa infatti conferisce alla donna un

ruolo da svolgere nella vita civile e la aiuta a operare per la

giustizia. In ogni caso, la mancanza d’esperienza nella vita civi-

le non significa necessariamente che la donna sia, nella sua

condizione, inferiore all’uomo. 0gni essere umano manca di una

cosa o di un’altra: non per questo il suo statuto di essere umano

viene posto in dubbio (2, 282) (5).

10. La danna gode di certi privilegi di cui l’uomo è privo.

Essa è esente da alcuni obblighi religiosi, quali ad esempio le

orazioni rituali e il digiuno, nei periodi di puerperio e

di mestruazione. Essa è esonerata dal presenziare all’orazione

rituale collettiva del venerdì. E’ esonerata da ogni responsabilità

economica. Come madre, gode di maggiore stima e di più grande

onore al cospetto di DIO (31, 14-15; 46, 15). I1 Profeta riconobbe

questa sua dignità allorchè dichiarò che il Paradiso sta sotto i

piedi delle madri. Essa ha diritto ai tre quarti dell’amore e

della dolcezza del figlio, mentre un quarto viene lasciato al

padre. Come moglie, ha i1 diritto di chiedere al futuro marito

una dote adeguata che apparterrà a lei. Ha il diritto al com-

pleto mantenimento e nutrimento da parte del marito. Non è tenuta

a lavorare o a condividere col marito le spese famigliari. E’ li-

bera di tenersi, dopo iI matrimonio, quello che possedeva prima,

e il marito non ha alcun diritto sulle sue proprietà. Come figlia

o sorella ha diritto alla sicurezza e al mantenimento da parte

del padre o del fratello, rispettivamente. Questo è un suo pri-

vilegio. Se vuole lavorare o essere autosufficiente e prender parte

(5) E’ interessante che la testimonianza di una donna in certe

materie è definitiva e la sua perizia è risolutiva. Non viene accet-

tata la testimonianza di nessun uomo e non c’è bisogno di più d’una

donna. Inoltre, il deporre testimonianze, in contratti e affari

commerciali non è un, privilegio, ma un dovere (Qur’an, 2, 282-283)

che deve essere adempiuto. Se la parte che ha la donna in questo

dovere viene alleggerita di metà, ciò può essere difficilmente

considerato come privazione di diritti; semmai, si tratta

di un favore o di un esonero.

alle responsabilità della famiglia, è completamente libera di farlo,

a patto che vengano salvaguardati il suo onore e la sua dignità.

11. I1 fatto che nell’orazione rituale la donna stia dietro l’uomo

non significa in nessun modo che essa sia inferiore a lui. La donna,

come già si è detto, è esonerata dalla partecipazione alle orazioni

collettive, che sono invece obbligatorie per l’uomo. Qualora la

donna vi prenda parte, deve collocarsi nelle file separate riser-

vate alle donne, cosi come i ragazzi più giovani costituiscono file

separate dietro gli uomini adulti. Questa è una norma disciplinare

nell’orazione, non una classificazione secondo l’importanza. Nelle

file degli uomini il capo dello Stato si trova spalla a spalla con

altri uomini di rango più modesto. L’ordine delle file nelle ora-

zioni comunitarie ha lo scopo di aiutare ciascuno a concentrarsi

nella propria meditazione. Questo è molto importante, perché le

orazioni rituali musulmane non sono semplici inni o canti o

salmodie. Esse comportano gesti, movimenti, posizioni erette,

inchini, prostrazioni ecc. Perciò, se gli uomini si mescolano con

le donne nelle medesime linee, è possibile che accada qualcosa che

distragga o disturbi. La mente può essere occupata da qualcosa di

estraneo all’orazione e può deviare dal luminoso sentiero della me-

ditazione. I1 risultato di ciò sarebbe una vanificazione dello

scopo dell’orazione, oltre che un, peccato di adulterio commesso

con gli occhi, perché gli occhi, guardando le cose proibite, pos-

sono rendersi colpevoli di adulterio tanto quanto il cuore. Inol-

tre nessun Musulmano, uomo o donna che sia, ha i1 permesso di toc-

care, durante l’orazione, il corpo di un’altra persona di sesso

diverso. Se uomini e donne stessero fianco a fianco nell’orazione,

non potrebbero evitare di toccarsi reciprocamente. Infine, se una

donna esegue l’orazione rituale davanti all’uomo o al suo fianco,

è molto probabile che una parte del suo corpo si scopra in seguito

a un movimento di inchino o di prostrazione. Può capitare benis-

simo, allora, che gli occhi dell’uomo si posino sulla parte scoper-

ta, col risultato che la donna resterebbe imbarazzata e l’uomo si

esporrebbe alla distrazione o anche a cattivi pensieri. Quindi,

per evitare imbarazzi e distrazioni, per favorire la concentrazio-

ne sulla meditazione e la purezza di pensiero, per mantenere l’ar-

monia e l’ordine fra gli oranti, per realizzare gli scopi dell’ora-

zione, 1’Islam ha prescritto l’organizzazione delle file, secondo

la quale gli uomini stanno nelle file davanti, i bambini dietro di

loro e le donne dietro i bambini. Chiunque abbia una qualche cono-

scenza della natura e dello scopo delle orazioni musulmane potrà

facilmente comprendere la saggezza di questa organizzazione delle

file degli oranti.

l2. La donna musulmana viene sempre associata all’antica

consuetudine nota come “l’uso del velo”. E’ islamico che la donna

si abbellisce col velo dell’onore, della dignità, della castità,

della purezza e dell’integrità. Essa deve astenersi da tutti gli

atti e i gesti che possono eccitare le passioni degli uomini diver-

si dal suo marito legittimo o possono far nascere sospetti

circa la sua moralità. Essa viene esortata a non esporre le sue

grazie e a non mettere in mostra le sue attrattive fisiche

davanti ag1i estranei. Il velo che essa deve indossare è una cosa

che può salvare la sua anima dalla debolezza, la sua mente dalla

distrazione, i suoi occhi da sguardi illeciti, la sua persona dall’im-

moralità. L’Islam è estremamente interessato all’integrità della

donna, per cui esso salvaguarda la sua moralità e protegge la sua

persona (cfr. Qur’an, 24, 30-31).

13. Adesso è chiaro che la condizione della donna nell’Islam

e incomparabilmente elevata e realisticamente conforme alla sua

natura. I suoi diritti e doveri sono pari a quelli dell’uomo,

ma non necessariamente o assolutamente identici ad essi. Se

sotto qualche riguardo essa è privata di qualcosa, viene però

pienamente compensata con qualcos’altro sotto altri rispetti.

I1 fatto che essa appartenga al sesso femminile non ha alcun

peso sulla sua condizione umana o sull’autonomia della sua per-

sonalità e non costituisce fondamento che giustifichi pregiu-

dizio contro di lei o ingiustizia contro la sua persona. L’I-

slam le dà tanto quanto le si richiede. I suoi diritti

stanno meravigliosamente al livello dei suoi doveri. L’equi-

librio fra diritti e doveri è mantenuto, e nessuno dei due

piatti della bilancia si discosta dall’altro. Tutto lo statuto

della donna è chiaramente espresso nel versetto coranico che

può esser tradotto nel modo seguente:

E le donne avranno diritti simili ai diritti sopra

di esse, secondo quello che è giusto; ma l’uomo

ha un grado (di vantaggio) sopra di loro (2, 228).

Questo grado non è un titolo di supremazia o un’autorizzazione

al dominio sopra la donna. Esso deve corrispondere alle maggio-

ri responsabilità dell’uomo e deve conferirgli

un qualche compenso per le sue illimitate responsabilità. Il

versetto sopra menzionato viene sempre interpretato alla luce

di un altro (4, 34) (6).

Sono queste maggiori responsabilità che danno all’uomo

un grado sopra la donna sotto alcuni riguardi. Non si tratta

di un grado più elevato in umanità o in carattere. Nè si tratta

del dominio dell’uno sull’altra o della repressione dell’una

da parte dell’altro. E’ una distribuzione dell’abbondanza di

DIO secondo le esigenze della natura, della quale DIO è l’ar-

tefice. Ed Egli sa meglio di chiunque che cosa è bene per la

donna e che cosa è bene per l’uomo. DIO è assolutamente veridi-

co allorchè dichiara:

O uomini riverite il Signore che vigila su di voi,

Colui che vi ha creati da un’unica persona e ha crea-

to la sua compagna di simile natura e da ambedue ha

sparso (come semi) innumerevoli uomini e donne (4, 1).

(6) Confrontare la sezione sulla “Vita familiare”, più sopra.

APPENDICE I

IL QUR’AN E LA SUA SAPIENZA

I1 Qur’an è il più grande dono di DIO all’umanità e la

sua sapienza è di un genere unico. In breve, lo scopo del

Libro è di conservare le rivelazioni precedenti e di restaura-

re la verità eterna di DIO, guidare l’umanità sul Diritto

Sentiero e sollecitare l’anima dell’uomo, risvegliare la co-

scienza umana a illuminare la mente dell’uomo.

I1 Qur’an è la Parola di DIO rivelata a Muḥammad per mezzo

del Santo Spirito Gabriele, per cui è al di là dell’umana imma-

ginazione produrre qualcosa simile ad esso. I contemporanei di

Muḥammad erano i più grandi artefici de11a 1ingua

araba, che avrebbero avuto moltissimi motivi per produrre un

testo rivale. Essi però non poterono produrre alcunchè di

simile al Qur’an nè per il contenuto nè per lo stile. Muḥammad

non ebbe nessuna istruzione scolastica regolare, nè faceva

mistero di ciò. Torna a suo massimo credito il fatto che egli

fosse un illetterato, proveniente da gente illetterata, e che

abbia insegnato all’umanità intera, a letterati e a illettera-

ti, il vero messaggio di DIO. Questo è il primo fatto circa

il Qur’an quale parola di DIO.

I1 secondo fatto circa questo Libro unico, è l’incontesta-

bile autenticità del suo contenuto: qualità che nessun altro

Libro di nessun genere ha mai avuto o potrà mai avere.

L’autenticità del Qur’an non lascia alcun dubbio circa la pu-

rezza, l’originalità, l’integrità del suo testo. Studiosi

seri musulmani e non musulmani, sono giunti alla conclusione,

al di là di ogni dubbio, che il Qur’an da noi usato oggi è il

medesimo Libro che Muḥammad ricevette, insegnò, tradusse in

pratica di vita e lasciò in eredità al genere umano, circa

quattordici secoli or sono. Alcune considerazioni possono

illustrare l’autenticità del Qur’an.

Il Qur’an è stato rivelato frammentariamente, un brano

alla volta, ma non è mai stato privo di una certa forma e

di un certo ordine. Il nome del Qur’an indica che esso era

un Libro fin dall’inizio (Qur’an, 2, 2; 41, 41-42). La siste-

mazione del Qur’an e la graduale rivelazione dei suoi brani

sono avvenuti per progetto e per volontà divina,

volontà alla quale Muḥammad e i suoi Compagni tennero fede

(25, 32; cfr. 75, 17).

2. Gli Arabi si distinguevano per il loro gusto letterario

estremamente raffinato, che li rendeva capaci di godere e di

apprezzare le buone opere letterarie. Il Qur’an, per consen-

so unanime, fu il capolavoro letterario più eminente, per il

loro gusto. Essi erano commossi dal suo tono toccante ed e-

rano attratti dalla sua bellezza straordinaria. Trovavano in

esso la più grande soddisfazione e la gioia più profonda, e

si impegnavano nella recita e nell’apprendimento mnemonico del

Libro. Esso fu, ed è ancora, ammirato, citato e prediletto

da tutti i Musulmani e da molti non musulmani.

3. E’ dovere di ogni Musulmano, uomo e donna, recitare

una parte del Qur’an nelle orazioni rituali quotidiane e

nelle veglie notturne. La recitazione del Qur’an è per i

Musulmani una sublime forma di culto e di pratica giorna-

liera.

4. Gli Arabi erano generalmente gente illetterata e do-

vevano fare completo affidamento sulla memoria per conser-

vare le poesie e i brani che essi prediligevano. Essi si

distinguevano per la memoria vivace, nella quale immagazzi-

navano il loro retaggio letterario. I1 Qur’an fu riconosciuto

come inimitabile da tutti gl’individui forniti di gusto let-

terario. Fu così che essi si affrettarono ad affidarlo alla

memoria, ma solo nel modo più rispettoso.

5. Durante il periodo in cui visse Muḥammad, c’erano scri-

vani esperti e trascrittori autorizzati delle Rivelazioni.

Tutte le volte che egli riceveva un versetto o un brano, im-

mediatamente istruiva i suoi scrivani affinchè lo registrassero

sotto il suo controllo. Tutto quello che essi registravano

era revisionato e autenticato dal Profeta stesso. Ogni parola

veniva riveduta e ogni passo veniva collocato al posto giusto?

6. Nel momento in cui le Rivelazioni furono complete, i

Musulmani si trovarono in possesso di molte registrazioni

integrali del Qur’an. Queste furono recitate,

imparate a memoria, studiate e usate per tutte le esigenze

quotidiane. Quando insorgeva una discordanza, la questione

veniva riferita al Profeta stesso, affinchè fosse lui a dare

la soluzione, si trattasse del testo, del significato o del-

1’intonazione.

7. Dopo la morte di Muḥammad, il Qur’an era ormai affidato

alla memoria di molti Musulmani e a numerose tavolette. Ma

nemmeno ciò soddisfece Abu Bakr, il primo Califfo, i1 quale

temeva che la morte in battaglia di un gran numero di memo-

rizzatori portasse a una grave confusione circa il Qur’an.

Egli consultò quindi le più eminenti autorità e incaricò

Zayd Ibn Thabit, capo dei trascrittori delle Rivelazioni di

Muḥammad, di compilare un archetipo

completo del Libro, nello stesso ordine che era stato autoriz-

zato da Muhamnad stesso. Fece ciò sotto la supervisione dei

Compagni del Profeta e col loro aiuto. La versione definitiva

e completa fu esaminata e approvata da tutti i Musulmani che

avevano ascoltato il Qur’an dalla bocca di Muḥammad e lo ave-

vano affidato alla propria memoria e al proprio cuore. Ciò

avvenne a meno di due anni dalla morte di Muḥammad. Le Ri-

velazioni erano ancora fresche e vive nella mente degli

scrivani, dei memorizzatori e di altri Compagni del

Profeta.

8. Durante, il califfato di Uthman, circa quindici anni dopo Mu-

hammad, le copie compilate del Qur’an furono largamente distribui-

te nei nuovi territori venuti a contatto con 1’Islam. La maggior

parte degli abitanti di questi territori non aveva nè visto nè

sentito Muḥammad. Per motivi locali e geografici, essi leggevano

il Qur’an con accento lievemente diverso. Uthman intervenne rapi-

damente per far fronte alla situazione. Dopo una mutua consulta-

zione con tutte le autorità eminenti, formò una commissione

composta di quattro uomini che avevano

trascritto le Rivelazioni. Tutte le copie in uso vennero raccolte

e rimpiazzate da un unico esemplare modello, che doveva essere

letto secondo l’accento e la parlata dei Quraysh, ossia secondo

l’accento e la parlata di Muḥammad stesso. Questa parlata venne

adottata e resa archetipica perché era la migliore fra tutte le

varianti linguistiche ed era la sola nella quale era stato

rivelato il Qur’an. Cosi i1 Qur’an fu ricondotto all’accento e

alla parlata dell’uomo che ne era stato il destinatario. Da quel

momento in poi, la stessa versione archetipica è rimasta in uso,

senza il minimo cambiamento nelle parole, nell’ordine, nella pun-

teggiatura.

Sulla base di queste osservazioni, g1i studiosi hanno concluso

che il Qur’an è oggi tale quale venne fatto discendere, e tale sem-

pre rimarrà. Esso non ha mai ricevuto alcuna aggiunta; nulla da

esso è stato tolto; esso non ha subìto nessuna corruzione. La sua

storia è chiara come la luce del giorno; la sua autenticità è fuo-

ri discussione; la sua completa preservazione è di là da ogni dub-

bio.

I1 Qur’an è pieno di una sapienza esemplare, riguardo alla sua

origine, alle sue caratteristiche e alle sue dimensioni. La sa-

pienza del Qur’an deriva dalla sapienza del suo Autore, che non può

essere stato altri che DIO stesso. Deriva anche dall’irresistibile

potenza del Libro, che è inimitabile e costituisce una sfida per

tutti gli uomini di lettere e di conoscenza. L’approccio realisti-

co del Qur’an, le soluzioni pratiche che esso offre ai problemi

dell’uomo, i nobili obiettivi che esso propone all’essere umano

designano la sapienza coranica come una sapienza di natura specia-

le e di caratteristiche tutte particolari.

Dinamismo

Una delle caratteristiche più salienti della sapienza coranica

è che essa non è di tipo statico, freddo. E’ una specie di sapien-

za dinamica, che sollecita la mente e stimola il cuore. In questa

sapienza vi sono un vivace dinamismo e una forza trascinante, qua-

lità attestate dall’evidenza storica come dallo stesso Qur’an.

Allorchè Muḥammad lanciò per la prima volta l’appello di DIO, il

suo unico potere era il Qur’an e la sua sola sapienza era la sapien-

za coranica. Il penetrante dinamismo del Qur’an è tremendo e irre-

sistibile.

Vi sono esempi tremendi che mostrano come le personalità

più dinamiche e gli argomenti più logici non riescano a egua-

gliare il livello della sapienza dinamica del Qur’an. DIO par-

la del Qur’an come di un ruh, cioè di uno “spirito” e “vita”,

di una luce da cui i servi di DIO vengono guidati sul Diritto

Sentiero (42, 52). Inoltre Egli dice: Se Noi avessimo fatto

scendere questo Qur’an sopra una montagna, tu certamente la avre-

sti veduta umiliarsi e spaccarsi in pezzi per paura di DIO.

Tali sono le analogie che Noi proponiamo agli uomini, affinchè

essi possano riflettere (53, 21). Le parole chiave sono qui

ruh e sad, le quali stanno a significare che il Qur’an dà

origine alla vita, stimola l’anima, irradia luce di guida e

muove gli oggetti in apparenza immobili. E’ questa la specie

di dinamismo spirituale di cui parla il Qur’an.

Praticabilità

Un’altra significativa caratteristica del Qur’an è la sua

praticabilità. Esso non indulge in

belle astrazioni. I suoi insegnamenti non chiedono l’impossibile,

non si librano su rosee nuvole di ideali irraggiungibili. Il

Qur’an considera l’uomo per quello che è e lo esorta a diventare

quello che può essere. Esso non marchia l’uomo

come creatura reietta e senza speranza, condannata dalla nascita

alla morte, immersa nel peccato dalla testa ai piedi, ma lo

tratteggia come un essere nobile, degno, rispettabile.

La praticabilità degli insegnamenti coranici è attestata

dall’esempio di Muḥammad e dei Musulmani nel corso delle età.

Lo specifico approccio del Qur’an stà nel fatto che le sue i-

struzioni mirano al bene generale dell’uomo e si basano su pos-

sibilità che stanno alla sua portata.

Moderazione

Una terza caratteristica è la moderazione o l’armonia fra

il divino e l’umano, lo spirituale e il materiale, il personale

e il comunitario e così via. Il Qur’an rende la dovuta attenzio-

ne a tutti gli aspetti della vita e a tutte le esigenze dell’uo-

mo e se ne occupa in modo da aiutare l’uomo a realizzare i nobili

scopi della sua essenza. E’ proprio in ragione di questo criterio

di moderazione che il Qur’an definisce i Musulmani come una Co-

munità Centrale (2, 143) e sulla base di tale “centralità” essi

vengono definiti il miglior popolo che si sia mai formato nel

genere umano, che essi prescrivono la giustizia, combattono l’er-

rore e credono in DIO (3, 110).

La sapienza coranico funziona secondo tre principali dimen-

sioni: all’interno, all’esterno,

verso l’alto. All’interno essa penetra negl’intimi recessi de1

cuore e raggiunge le profondità più remote della mente. Essa

mira a una sana coltivazione dell’individuo dall’interno. Questa

penetrazione interna è diversa, perché più profonda, da quella di

qualunque altro sistema giuridico o morale, perché il

Qur’an parla in nome di DIO e riferisce a Lui tutte le cose.

La funzione esterna del Qur’an copre ogni settore dell’esi-

stenza e contempla tutti i principi del campo delle attività umane,

dalle azioni più personali ai più complessi rapporti internazionali.

Il Qur’an raggiunge aree sconosciute a qualunque sistema

giuridico secolare, a qualunque codice morale, aree inaccessibili

alle ideologie e alle religioni ordinarie. Quello che è

notevole sotto questo riguardo, è che il Qur’an si occupa dei rap-

porti umani in maniera tale da dar loro un profumo divino e un gusto spi-

rituale. Esso fa sentire la presenza di DIO in ogni transazione

e riconosce DIO come la fonte originaria della guida e il traguardo

ultimo di ogni azione. Esso è la guida spirituale dell’uomo, il suo

ordinamento giuridico, il suo codice etico; insomma, è il suo modo

di vita.

Nella sua funzione verticale, il Qur’an pone

l’accento sull’Unico Supremo DIO. Tutto ciò che è stato, è e sarà

deve essere incanalato in questa prospettiva, visto da que-

sto punto d’osservazione: l’attiva presenza di DIO nell’universo.

L’uomo è semplicemente un fiduciario nel vasto dominio di DIO e

il solo scopo della sua creazione è di adorare DIO. Questo non

è un pretesto per l’isolamento o un passivo ritrarsi dalla vita.

E’ un aperto invito all’uomo affinchè sia sulla terra la vera per-

sonificazione delle eccellenti qualità di DIO. Quando il Qur’an,

nella sua dimensione verticale, indirizza l’attenzione su DIO, apre

davanti all’uomo orizzonti di pensiero, lo guida a modelli esempla-

ri di etica sublime, lo rende esperto dell’eterna fonte della pace

e del bene. Realizzare che DIO solo è 1o scopo definitivo dell’uo-

mo costituisce una rivoluzione contro le tendenze volgari che do-

minano il pensiero umano e le dottrine religiose, una rivoluzione

il cui obiettivo è di liberare la mente dal dubbio, liberare l’ani-

ma dal peccato ed emancipare la coscienza dall’asservimento.

In tutte le sue dimensioni, la sapienza coranica è conclusi-

va. Essa non condanna nè tormenta la carne, ma nemmeno dimentica

l’anima. Essa non “umanizza” DIO nè deifica l’uomo. Ogni cosa

è accuratamente collocata al suo posto nell’ordine totale della

creazione. C’è un rapporto proporzionale tra azioni e ricompense,

tra mezzi e fini. La sapienza coranica non è neutra. Essa avan-

za richieste e le sue richieste sono accolte con gioia da tutti

coloro che hanno ricevuto la benedizione dell’intelligenza e della

comprensione.

La sapienza del Qur’an fa appello alla sincerità nel pen-

siero e alla religiosità nell’azione, all’unità negli obiet-

tivi e alla buona volontà nell’intenzione. Così è il Libro; in esso

è guida sicura, senza esitazione… (2, 2). Questo è un Libro che

Noi ti abbiamo rivelato, affinchè tu possa guidare l’umanità fuori

dagli abissi della tenebra verso la luce… (14, 2).

APPENDICE II

MUHAMMAD, ULTIMO PROFETA

La convinzione dei Musulmani circa il carattere definitivo

e conclusivo della divina missione profetica di Muḥammad è stato

frainteso da molti ed esige perciò una spiegazione. Questa con-

vinzione non significa affatto che DIO abbia chiuso le porte del-

la Misericordia o sia diventato un

deus otiosus. Ciò non comporta nessuna restrizione circa

l’emergere di grandi personalità religiose, nè sbarra la strada

a grandi capi spirituali che eventualmente si presentino, nè

impedisce il sorgere di grandi uomini pii. E ciò non signi-

fica nemmeno, nella maniera più assoluta, che DIO abbia concesso

agli Arabi, dal novero dei quali Muḥammad venne scelto, la Sua

ultima grazia, con esclusione di tutti quanti gli altri uomini.

DIO non è parziale con nessun “popolo eletto”, con nessun’epoca

storica, con nessuna generazione di uomini e la porta della Sua

Misericordia è sempre aperta, sempre accessibile a coloro che

Lo cercano. Egli parla all’uomo in uno di questi tre modi:

1) per ispirazione, cioè in forma di suggerimenti o idee

poste da Dio nel cuore o nell’anima di uomini pii;

2) da dietro un velo che si presenta in forma di visioni

o di apparizioni, quando il ricettacolo umano qualificato si

trova in stato di sonno o di sopore;

3) attraverso il Messaggero celeste Gabriele, che viene

fatto discendere con effettive parole divine da recare al mes-

saggero umano prescelto (Qur’an, 42, 51). Quest’ultima forma

è la più sublime ed è quella in cui il Qur’an fu fatto scendere

su Muḥammad. Essa è riservata unicamente ai profeti, dei quali

Muḥammad è stato l’Ultino e il Sigillo.

Ma, di nuovo, ciò non toglie che vi sia un’esistenza o una

continuità di ispirazione nelle due altre forme, per chiunque sia

designato da DIO. Scegliendo Muḥammad come Sigillo dei Profeti,

DIO non ha perso il contatto con l’uomo nè il Suo

interesse verso quest’ultimo, e all’uomo non è stata sbarrata

la strada nella ricerca di DIO nè gli è stato vietato di aspirare

a DIO. Al contrario: scegliendo Muḥammad quale punto culminante

della Missione profetica e il Qur’an quale completamento e sin-

tesi della Rivelazione, DIO ha istituito un permanente tramite

di comunicazione fra Sè e l’uomo e ha innalzato un faro di luce

e di guida che irradia continuamente. Oltre a queste osservazio-

ni generali, vi sono altri punti specifici che mostrano perché

Muḥammad sia 1’Ultimo Profeta di DIO. Fra tali punti, possiamo

menzionarne alcuni.

1. I1 Qur’an dichiara in termini inequivocabili che Muḥammad

è stato inviato a tutti gli uomini come Apostolo di DIO, e a DIO

appartiene il dominio dei cieli e della terra (7, 158). Viene

anche dichiarato che Muḥammad è stato inviato solo come una Mise-

ricordia da parte di DIO a tutte le creature, umane e non umane

(21, 107) e che egli è il Messaggero di DIO e il Sigillo dei Pro-

feti (33, 40). I1 Qur’an è la parola di DIO e tutto ciò che esso

dice è verità, divina, sulla quale ogni Musulmano si basa e sulla

quale ogni uomo deve riflettere. I1 Messaggio di Muḥammad non fù

semplicemente un fenomeno di rinascita nazionale o il monopolio

di una razza o la momentanea liberazione dall’oppressione e dalla

servitù. Nè fu un cambiamento improvviso o un’inversione di ten-

denza nella direzione della storia. Il Messaggio di Muḥammad fu,

e ovviamente è ancora, una rinascita universale, una benedizione

per tutti, un retaggio sovranazionale una liberazione spirituale

durevole. Esso costituisce il perfezionamento e la

continuazione dei messaggi precedenti, una sintesi equilibrata di

tutte le rivelazioni precedenti. Esso trascende ogni confine di

razza, età, colore, indole regionale. Si rivolge all’uomo di

tutti i tempi ed è appunto quello di cui l’uomo ha bisogno. Così,

il Musulmano è convinto che Muḥammad sia 1’Ultimo Profeta, perché

il Qur’an reca veridica testimonianza di ciò, e perché il messaggio

di Muḥammad ha le più elevate qualità di un credo veramente univer-

sale e definitivo.

2. Muḥammad stesso dichiarò di essere l’Ultimo Profeta di DIO.

Un Musulmano, così come chiunque altri, non può contestare la veri-

dicità di questa affermazione. Nel corso della sua vita, Muḥammad

fu riconosciuto come estremamente veridico, onesto, equilibrato.

La sua integrità e la sua veridicità erano al di là di ogni dubbio,

non solo al cospetto dei Musulmani, ma anche nell’opinione dei suoi

oppositori più leali. Il suo carattere, le sue realizzazioni spi-

rituali, le sue riforme politiche sono senza paralleli nell’intera

storia dell’umanità. Resta quindi ancora da vedere se la storia

può produrre qualcosa simile a Muḥammad. Egli disse di essere 1’U1-

timo Profeta perché egli era la verità di DIO e non perché voles-

se una gloria personale o mirasse a guadagni personali. La vitto-

ria non lo privò delle sue eccellenti virtù, il trionfo non riu-

sci a indebolirle, il potere non potè corrompere il suo carattere.

Era incorruttibile, coerente, inaccessibile alla nozione stessa del

profitto o della gloria personali. Le sue parole dispiegano una

luce abbagliante di saggezza a di verità.

3. Muḥammad fu il solo profeta che potè adempiere alla propria

missione e potè completare la propria opera nel corso della sua vi-

ta. Prima che egli morisse, il Qur’an dichiarò che 1a religione

di DIO era stata completata o che la verità della rivelazione era

stata salvaguardata e sarebbe stata preservata nella sua integri-

tà (Qur’an, 5, 3 e 10, 3). Allorchè egli morì, la religione del-

1’Islam era completa e la comunità dei fedeli musulmani era bene

organizzata. I1 Qur’an venne memorizzato nel periodo in cui egli

visse e fu preservato nella sua versione totale a originaria. Tut-

to ciò significa che la religione di DIO è stata completata da Mu-

hammad nella dottrina come nella pratica e che il Regno di

DIO è stato instaurato qui sulla terra, la missione di Muḥammad,

il suo esempio e le sue realizzazioni hanno dimostrato che il Regno

di DIO non è un ideale irraggiungibile o qualcosa che appartiene

unicamente all’aldilà, ma è anche di questo mondo, qualcosa che è

esistito ed è stato florido nell’età di Muḥammad e può esistere e

fiorire in ogni epoca nella quale vi siano fedeli sinceri e uomini pii.

Perciò, se vi fu un uomo destinato a essere il culmine della

Missione profetica, chi è potuto

esserlo se non Muḥammad? E se un Libro è stato designato

quale completamento e sintesi della Rivelazione, quale è potuto

esserlo se non il Qur’an? L’effettivo adempimento della mis-

sione di Muḥammad sopra la terra e la registrazione fedele del-

l’intero Qur’an nel periodo della sua vita non lasciano traccia

di dubbio, nella nostra mente, per quanto concerne la convinzio-

ne che egli fu l’Ultimo Profeta.

4. Il decreto di DIO secondo cui Muḥammad è 1’Ultimo

Profeta si basa sulla pura e originaria autenticità del Qur’an,

sulle realizzazioni definitive e straordinarie

di Muḥammad, sull’universalità dell’Islam, sull’applicabilità

degl’insegnamenti coranici ad ogni situazione, ad ogni età, ad

ogni uomo. Questa è la religione che trascende tutti i confi-

ni e penetra oltre ogni barriera di razza, colore, età, condi-

zione econonica, prestigio sociale. E’ la religione che assicura

agli uomini, a tutti gli uomini, l’equità e la solidarie-

tà, la libertà e la dignità, la pace e l’onore, l’orientamento

e la salvezza. Questa è la pura essenza della religione di DIO

a il genere di aiuto che Egli ha sempre offerto all’uomo, fin

dai primordi dell’umanità. Muḥammad e il Qur’an segnano il cul-

mine del processo religioso. Ciò comunque non significa la fi-

ne della storia o la fine dell’esigenza umana di una guida divina.

E’ soltanto l’inizio di un nuovo processo, l’inaugurazione di

una nuova era, nella quale l’uomo si trova sufficientemente

provvisto di tutta la guida divina di cui ha bisogno, di tutti

gli esempi pratici che gli necessitano. Questa divina guida è

contenuta nel Qur’an, la più autentica e incorruttibile Rivela-

zione di DIO, e questi esempi pratici si trovano nella persona

di Muḥammad. Se dovessero venire un nuovo profeta o un nuovo

libro rivelato, che cosa potrebbero aggiungere alla qualità del-

la missione profetica o alla verità del Qur’an? Se è per preser-

vare la parola di DIO o salvaguardare la verità della Rivelazione,

questo è stato fatto con il Qur’an. Se è per mostrare che la

Legge di DIO può essere mandata in vigore nella storia o che il

Regno di DIO può essere instaurato sulla terra, tutto ciò è stato

dimostrato da Muḥammad. Se e per guidare l’uomo a DIO e sulla

Diritta Via della vita, ciò è stato fatto dal Qur’an e da Muham-

mad. L’uomo non ha bisogno di nuove rivelazioni o di nuovi

profeti. Ciò di cui ha più bisogno, è di svegliarsi, di aprire

la propria mente e stimolare il proprio cuore. Ciò di cui ha

bisogno adesso, è di far uso delle Rivelazioni già disponibili,

di adoperare le risorse già esistenti e trarre dagl’inesauribili

tesori dell’Islam quello che ha incorporato, preservato e perfe-

zionato la purezza delle rivelazioni precedenti.

5. DIO decretò che Muḥammad sarebbe stato 1’Ultimo Profeta,

e ta1e egli è stato. Nessun profeta prima di Muḥammad ha fat-

to, realizzato o lasciato ai posteri al pari

di Muḥammad. E dopo di lui nessuno fra coloro che hanno preteso

d’esser profeti ha fatto qualcosa di paragonabile a quanto fece

Muḥammad. Comunque, questo decreto divino anticipò i grandi

eventi storici che seguirono. Esso proclamò all’uomo la buona

novella che egli sarebbe entrato in una nuova fase di maturità

intellettuale e di vette spirituali e che da allora avrebbe dovuto

fare a meno di nuovi profeti e di nuove rivelazioni, per fare da sè,

aiutato dalla ricca eredità della missione profetica o delle rive-

lazioni, quali si trovano in Muḥammad e nei suoi predecessori. Fu

un’anticipazione del fatto che le culture, le razze e le regioni

del mondo sarebbero diventate sempre più vicine tra loro e che

l’umanità avrebbe potuto avvalersi nel migliore dei modi di una

religione universale in cui DIO occupa la posizione che Gli com-

pete e l’uomo realizza se stesso. Fu una solenne testimonianza

della grande funzione che la conoscenza sublime e le imprese intel-

lettuali avrebbero svolta nel portar l’uomo a DIO. Ed è vero che,

se l’uomo può combinare le proprie conoscenze più elevate e il suo

miglior potenziale intellettuale con gl’insegnamenti spirituali ed

etici del Qur’an, non può mancare di riconoscere l’esistenza di

DIO e adeguare se stesso alla Legge di DIO.

La fase ciclica della missione profetica è terminata con

Muḥammad, perché l’uomo avesse la dimostrazione che egli può

maturare di sua propria iniziativa, per dare alla scienza

umana l’opportunità di funzionare correttamente ed esplorare il

vasto dominio di DIO, per dare alla mente la possibilità di ri-

flettere e penetrare a fondo. La natura dell’Islam è tale, che

esso possiede grande praticabilltà e flessibilità e può risolvere

ogni nuova situazione. La natura del Qur’an è tale, che esso è

universale e sempre rivelatore; in esso vi è guida sicura,

esente da dubbio. La natura del Messaggio di Muḥammad è tale, che

si rivolge a tutti gli uomini e si indirizza a tutte le generazio-

ni. Muḥammad non fu semplicemente il capo di una razza o il libera-

tore di una nazione. Egli fu, ed è tuttora, un uomo della storia

umana, il modello migliore dell’uomo che cerca DIO. In lui ogni

uomo può trovare qualcosa da imparare ed eccellenti esempi di

nobiltà e di religiosità da seguire. In lui ogni generazione può

trovare la propria speranza nascosta.

APPENDICE III

IL CALENDARIO ISLAMICO

L’era islamica è cominciata col grande evento dell’Egira

da Mecca a Medina, cioè con 1’Emigrazione del Profeta Muḥammad

e dei suoi Compagni da Mecca a Medina. L’adozione di questo

evento quale inizio dell’Era Islamica ebbe luogo durante il Ca-

liffato di Omar Ibn al-Khattab, il secondo Califfo succeduto a

Muḥammad. Attualmente ci troviamo nel 1395 dell’Egira (1395 A,H,).

I1 calendario islamico è lunare e i suoi mesi sono determi-

nati dalle varie posizioni della luna. In ogni anno vi sono do-

dici mesi e ogni mese è di trenta o di ventinove giorni, a secon-

da della posizione dalla luna. I mesi sono: Muharram, Safar,

Rabi al-awwal, Rabi’ ath-thani, Jumada al-ula, Jumada ath-thaniyah,

Rajab, Sha’ban, Ramadan, Shawwal, Dhu’1-Qa’da e Dhu’l-hijjah.

In ogni settimana c’è un giorno speciale da ricordare e osser-

vare. Questo giorno è il Venerdì, e il suo rilievo deriva dalle

orazioni rituali collettive, alle quali deve parteci-

pare ogni Musulmano che ne abbia la possibilità. Vi sono altre

significative ricorrenze che devono essere osservate in maniera

speciale.

1. La Hijrah (Egira), che cade alla vigilia del primo giorno

di Muharram.

2. I1 Natività del Profeta, che cade alla vigilia del dodicesino

giorno di Rabi’ al-awwal.

3. Ramadan, il mese del Digiuno, nel quale fu rivelato il Qur’an.

4. La Notte del Decreto (Qadr), che può essere celebrata alla

vigilia dal ventitrè, del venticinque o del ventisette di

Ramadan.

5. ‘Id al-Fitr (Festa della Rottura del Digiuno di Ramadan),

che cade il primo giorno di Shawwal.

6. ‘Id al-Adha (Festa dei Sacrifici), che cade il 10 di Dhu’l-

Hijjah.


Vedi inoltre: