[1] Nell’anno 570 (o 571) d.C. Abraha, governatore abissino dello Yemen, giurò di distruggere la Ka‘ba, che riteneva un santuario idolatrico, in modo
da affermare il predominio cristiano su tutta la penisola arabica. Radunò una potentissima armata e marciò verso l’Hijàz travolgendo la resistenza
di alcune tribù arabe che cercarono di sbarrargli il cammino. Alla testa dell’esercito marciava un grande elefante che caricando incuteva il più
grande terrore. Giunto nelle vicinanze della Mecca il governatore abissino inviò messi nella città e chiese di incontrarne il capo. Fu inviato
‘Abdu-’l-Muttalib, nonno paterno dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui), uomo di grande prestigio e autorevolezza e che tra l’altro
aveva un problema personale da risolvere: le avanguardie di Abraha avevano razziato un gregge di cammelli che gli apparteneva ed egli voleva
ritornarne in possesso.
Abraha fu colpito dalla figura di ‘Abdu-’l-Muttalib e volle compiacerlo chiedendogli in cosa poteva favorirlo. Il notabile Quraysh chiese che gli
fossero restituiti i suoi cammelli e, di fronte alla delusione del governatore per una richiesta così infima di fronte al rischio di distruzione
del «Santuario degli arabi», chiarì: «i cammelli sono i miei, la Kacba ha un suo Padrone che certamente la difenderà». L’affermazione
suscitò l’irritazione del governatore che ribadì la sua intenzione di radere al suolo la Ka‘ba l’indomani. Tornato alla città ‘Abdu-T-Muttalib
invitò la gente a ritirarsi sulle colline circostanti, poi si recò al Tempio, e pregò Allah di proteggere la Sua casa. Il giorno dopo, quando
l’esercito stava per muovere contro la città, avvennero fatti prodigiosi. L’elefante si accovacciò e, nonostante blandizie e percosse, rifiutò
ostinatamente di avanzare. Abraha avrebbe dovuto capire la portata di quel segno, ma non fu così e dette l’ordine di avanzare ugualmente. A questo
punto Allah (gloria a Lui l’Altissimo) colpì duramente la gente dell’elefante: apparve una miriade di uccelli che scagliò sugli Abissini e i loro
alleati un flagello sotto forma di pietre durissime e mortali, sicché «Li ridusse come pula mondata».
La morale della sura è evidente, per i Quraysh ai quali fu rivolta in prima istanza e che avevano ben chiaro il ricordo dei fatti cui essa fa
riferimento e per tutti quanti gli uomini: Allah (gloria a Lui l’Altissimo) ha protetto la Sua Casa, proteggerà il Suo Inviato (pace e benedizione
su di lui), la Sua religione, i Suoi devoti.
[2] «Non hai visto»: con il senso di «non hai avuto notizia».
[3] «...come pula svuotata»: l’immagine è quella degli avanzi di cereali che rimangono negli ovili dopo che gli animali se ne sono cibati.
Tratto da: “Il Corano”
(la traduzione dei suoi significati in lingua italiana)
A cura di Hamza Roberto Piccardo
Prefazione di Franco Cardini e introduzione di Pino Blasone
Edizioni Newton & Compton su licenza Al Hikma, pp.610.
La più diffusa e completa traduzione dei significati del Corano, la prima realizzata dai musulmani in Italia per tutti gli italofoni.
Un’opera arricchita da un’imponente apparato di note (oltre 2.800) un indice delle materie, un indice dei nomi e 12 appendici tematiche: dai 5 pilastri dell’Islam alla traduzione dei Nomi di Allah, dal concetto di jihad a alla proibizione dell’interesse sul denaro.